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lunedì 17 settembre 2012

L'uomo che morì due volte















La strada si snodava attraverso boschi secolari di abeti scivolando giù per il profilo della valle fino a costeggiare il piccolo laghetto di montagna dove Stephan si recava quando voleva stare solo.
Nei dintorni aveva costruito una piccola baracca in legno, grande poco più di un rifugio per cacciatori. Il tetto in lamiera ricoperto da foglie e rami di abete. Le pareti di tronchi d'albero tenuti insieme da fango secco e muschio, alla maniera dei vecchi cercatori d'oro. Un piccolo tavolino, un letto di fortuna e una lampada ad olio appesa dietro una porta sgangherata coi cardini che cigolavano al minimo movimento d'aria erano gli unici arredi.

Non era un posto accogliente, ma era quello di cui aveva bisogno. Un posto semplice, spoglio, buono forse per far passare un temporale, ma era il suo posto preferito.
Nessuno sapeva dove fosse, nemmeno i pochi amici che gli erano rimasti dopo la separazione dalla moglie.
L'unico a saperlo era un cacciatore di pelli che era passato di lì un giorno di pioggia a chiedergli riparo. Avevano chiacchierato a lungo davanti a una tazza di tè bollente in attesa che spiovesse. L'uomo gli raccontò di quanto fossero rigidi gli inverni per un cacciatore di pelli, di come aveva imparato a riconoscere le piste degli animali dai vecchi indiani della riserva. Ricambiò l'ospitalità offrendogli dell'acquavite di contrabbando che bruciava in gola come benzina.
Era lì che stava andando quel giorno. La radio dal cruscotto gracchiava musica degli anni trenta. Ed era già un miracolo che il segnale arrivasse fino a lì. Nel raggio di ottanta miglia quadrate non c'era anima viva, né case né città. Guidava il suo vecchio pick-up fumando un sigaro dall'odore acre che teneva appoggiato al bordo sinistro del labbro, levandolo solo per scrollare via la cenere. Adagiata sul sedile la bottiglia di whisky sonnecchiava in attesa di potergli offrire sollievo. L'avrebbe finita prima ancora di arrivare a destinazione.

Se ne era andato dopo la telefonata di lei. Non poteva più vederlo, non se la sentiva di continuare, erano le parole che ancora gli ronzavano nella testa.
Si erano salutati la sera prima dopo essersi amati con la stessa passione travolgente di sempre. Amanti clandestini, incatenati da una segreta passione. Ora non aveva altra spiegazione che quel suo "non chiedermi niente.. È finita. Non posso."
Il click del ricevitore gli sembrò uno sparo nelle orecchie. Aveva preso un bottiglia di whisky e si era messo in macchina, così com'era guidando senza meta.

Era l'alba del giorno dopo. Una leggera foschia azzurrognola ammantava i boschi come un velo di sposa pronto a sollevarsi all'apparire del sole.
Fermò il pick-up sul bordo della strada e scese stirando le braccia e il collo indolenzito. Aveva guidato tutta la notte. Gli occhi arrossati e trafitti da punture di spilli. Sbadigliò e gettò a terra il mozzicone di sigaro ormai spento.
Camminò verso il bosco. Abbassò la lampo dei jeans e urinò con sollievo contro un tronco d'albero.
Tornò al pick-up e fu lì che lo vide appoggiato con una mano al cofano motore.
"Salve amico..." gli disse lo sconosciuto fissandolo. "strano posto far fare degli incontri questo, non è vero?"
"Si, strano posto.." Aprì la portiera dal lato passeggero e prese la bottiglia di whisky. "Ci facciamo un goccetto?"
L'altro fece di sì col capo e sputò di lato. Aveva i gomiti appoggiati al cofano del pick-up e guardava la strada.
"Dopo di te amico, qui sei a casa mia - disse lo sconosciuto con un ghigno sarcastico - e in casa mia gli ospiti hanno sempre la precedenza."
Gli allungò la bottiglia dopo aver bevuto. L'altro ne pulì il collo col palmo della mano e bevve poi la poggiò sul cofano continuando a guardare la strada.
Sapeva che la zona era battuta da vagabondi e sbandati di ogni tipo, gente che aveva perso il lavoro all'epoca della grande crisi e si era adattata a vivere come cani randagi, pronti a uccidere per un goccio di whisky, per un paio di scarpe nuove, ma non ci aveva mai creduto. Pensava fossero solo voci buone per tenere alla larga i turisti dai boschi. E invece ora doveva ricredersi e stare in guardia.
"Lo sai che è da maleducati entrare in casa d'altri senza essere stati invitati, vero?"
La domanda lo colse a bruciapelo. Guardò il suo viso scarno e squadrato, con la barba incolta e la mascella pronunciata. Indossava vestiti logori e sudici e dal leggero odore di rancido che emanava erano giorni che non si lavava. Lo fissava con due occhi chiari e sottili come una lama di luce.
"Una casa è una casa - rispose - e qui non vedo né pareti né porte da varcare, amico."
Lo squadrò cercando di capire se la sua fosse una semplice battuta o una vera e propria provocazione.
L'uomo esitò fissandolo con durezza. Indicò la strada che tagliava a metà quel bosco silenzioso. "La vedi quella strada? Quella l'ho costruita io. Voi che ti dica quanti alberi ho dovuto tagliare per far spazio a quella fottutissima strada?"
Aveva preso a parlare con concitazione voltandosi verso il pick-up con un piede poggiato al parafango.
"Sono esattamente seicentoventisette fottuti alberi di abete, li ho contati uno per uno e tu ora vieni a dirmi che questa non è casa mia?"
Mostrò le sue mani callose e forti sputò di lato e prese la bottiglia scolandosi un sorso.
Stephan non aveva alcuna voglia di discutere a quell'ora del mattino e con quei pensieri in testa. Fosse stato un altro momento avrebbe già risolto la questione a cazzotti, come spesso accadeva al bar della compagnia petrolifera per cui lavorava, ma non lo fece, non ora pensò.
"Sai che ti dico amico - disse - tieniti pure la bottiglia. Considerala un rimborso per essere entrato in casa tua senza permesso."

Gli passò a fianco battendogli una mano sulla spalla mentre si apprestava a salire sul pick-up.
L'uomo schiumava di rabbia e afferrò la bottiglia per il collo. "Non penserai di cavartela così a buon mercato" - disse avventandosi su di lui.
Il colpo secco finì per mandare in frantumi la bottiglia e Stephan si accasciò al suolo come un sacco vuoto sotto lo sguardo tagliente dello sconosciuto che continuava a inveire contro di lui.
"E non mi venire a dire che non ti avevo avvisato, pezzo di merda."
Gli rifilò un calcio allo stomaco e si piegò su di lui cercandogli il portafogli.
"E poi se c'è una cosa che non posso sopportare sono le persone che mi chiamano amico, senza esserlo."
Quando si risvegliò la testa era una scatola vuota. In bocca il sapore della terra che le labbra sfioravano. Passò una mano fra i capelli sporchi di sangue rappreso che gli colava fin sul collo. A fatica si tirò in piedi.
Del suo pick-up solo le tracce polverose lasciate sull'asfalto. Lo sconosciuto se ne era impossessato dopo averlo derubato di tutti gli effetti personali.
Imprecò il cielo per essersi lasciato sorprendere con tanta facilità. Non aveva più nulla, né soldi, né documenti. Era rimasto coi soli indumenti che indossava. Ed era scalzo. Gli aveva rubato anche gli stivali di cuoio che si era fatti fare su misura, lasciandogli come ricordo beffardo un paio di scarpe malconce e senza lacci. Non aveva altra scelta che indossarle e per sua fortuna non erano nemmeno tanto strette. Si avviò lungo la statale lungo la direzione dalla quale era venuto, seguendo le tracce lasciate sull'asfalto, sperando che prima o poi qualcuno passasse da quelle parti prima di sera.
 
John Wallace un volta al mese si recava alla fiera dei cavalli di Alamosa. Con il suo vecchio furgoncino percorreva la statale 18 senza alcuna fretta di raggiungere la cittadina. Sapeva che non sarebbe arrivato in tempo per il rodeo di apertura della manifestazione, ma non era preoccupato.
I veri affari si facevano sempre il giorno seguente quando i venditori dovevano ancora smaltire gli ettolitri di alcol e birra bevuti la sera prima. Confidava di poter trovare una nuova cavalla a un buon prezzo da far accoppiare al suo stallone.
Aveva guidato per quasi tutto il giorno ed era quasi il tramonto quando vide un uomo camminare sul ciglio della strada.
Abbassò il finestrino e rallentò.
"Ha bisogno di un passaggio?"
"Se va nella mia stessa direzione, volentieri." rispose brevemente Stephan. 
"Nessuno va mai nella stessa direzione di un altro, amico" - rispose l'uomo spostando il cappello da cow-boy dal sedile gettandolo dietro.
"Su salga, così mi terrà compagnia lungo la strada."
Salì e chiuse la portiera difettosa con un forte strattone.
L'uomo gli domandò dove fosse diretto notando la ferita sulla testa.
"Vedo che ha fatto a cazzotti e a quanto pare ha avuto la peggio."
"Non si può vincere  sempre" - rispose per giustificarsi - "ogni tanto ci sta che la vita ti butti a terra e poco importa se è per mano di un delinquente. L'importante è rialzarsi."
Aggiunse che non stava andando da nessuna parte in particolare e che sarebbe sceso alla prima città che avrebbero incontrato.
 
 Al Cherokee Pub, un vecchio bar lungo la statale era una delle tante sere dove i camionisti venuti da fuori avevano ormai fatto il pieno di birra ed erano pronti alla rissa. La gente del posto non aspettava altro che un semplice pretesto per menar pugni e dimostrare la loro superiorità.
Lo sceriffo Coleman beveva appoggiato coi gomiti al bancone la sua birra, quando la ricetrasmittente di servizio agganciata alla cintura gracchiò.
"Sceriffo, sono l'agente Mulligan dalla centrale, c'è stato un incidente lungo la statale 18. Sul posto ho già mandato una pattuglia. Ancora non ha fatto rapporto."
Domandò se c'erano feriti gravi. Il sergente rispose che non lo sapeva, ma supponeva di sì dal momento che un'auto era in fiamme.
"Ok, vado subito".
Imprecò scolandosi quel poco di birra rimasta e pagò. Dieci minuti dopo era sul luogo dell'incidente. I lampeggianti delle ambulanze e dei pompieri saettavano nella notte accesa dai bagliori che divampavano della macchina incendiata. 

Una grossa autocisterna con il rimorchio rovesciato ostruiva l'intera carreggiata ostruendo il passaggio delle auto ferme in colonna.

Un agente di polizia stava interrogando l'autista seduto sul predellino dell'ambulanza, prendendo appunti sul suo blocchetto. Si toccò la visiera del cappello quando lo sceriffo si avvicinò.
"È ancora sotto shock sceriffo, ma a parte questo non è ferito. L'altro invece è piuttosto malconcio." disse indicando l'incendio e l'auto carbonizzata dalla quale salivano ancora nuvole di fumo nero dall'odore acre. "Dice che non ha potuto evitare lo scontro, che l'auto sbandava come se l'autista fosse ubriaco."
Coleman annuì e si avvicinò all'auto parlando con gli agenti del coroner.
"Da come è ridotto il corpo - disse - prevedo una lunga nottata prima che si sappia chi sia quest'uomo."
I due agenti stavano richiudendo il cadavere carbonizzato dell'uomo in un sacco di tela cerata nera e annuirono fornendo quelle poche indicazioni che erano in grado di dare.
"A giudicare dal collo spezzato deve essere morto prima che scoppiasse l'incendio, capo - rispose uno dei due - ma questo non ci sarà di grande aiuto per l'identificazione. Appena avremo il referto medico le farò rapporto."
"Va bene" rispose e tornò alla sua auto per mettersi in contatto con la centrale.
La radio gracchiò per un istante prima di premere il pulsante dell'interfono.
"Avvisate il procuratore generale e tiratelo giù dal letto se necessario. Qui abbiamo un cadavere carbonizzato e non identificato. E segnatevi questo numero di targa e fatemi rapporto al più presto."

John Wallace rallentò imprecando quando si accodarono all'ultima delle auto in fila e si sporse dal finestrino per osservare meglio la scena dell'incidente.
"Accidenti - disse - deve aver fatto un gran bel botto. Ha visto che diavolo di incidente?"
Stephan annuì smontando dal furgoncino.
"Lei resti qui - rispose - vado a vedere cosa è successo."
"E dove vuole che vada con questa coda. Prima che si possa passare sarà l'alba. Glielo dico io."
Stephan si avviò costeggiando le auto, osservato dai volti annoiati dei guidatori, giungendo fino al cordone di sicurezza creato dalla polizia locale.
Dalla carcassa del pick-up si alzava ancora un intenso fumo nero ma le fiamme erano state domate. Richiamò l'attenzione di un agente.
"Credo di conoscere quel pick-up agente. C'ero sopra giusto questa mattina."
L'agente sollevò il nastro giallo che delimitava la scena dell'incidente e gli fece segno in direzione dello sceriffo.
"Vada a parlare con lo sceriffo Coleman, laggiù."
Si sentiva stranamente calmo mentre avrebbe dovuto essere arrabbiato o in collera, ma non lo era.
Si avvicinò allo sceriffo e indicò il suo pick-up distrutto dicendo che forse era in grado di fornire qualche informazione riguardo al conducente.
Spiegò che aveva la macchina in panne e che aveva chiesto un passaggio. Che l'uomo al volante di quel pick-up si era presentato come Stephan Janson. Veniva dal Texas per andare a pesca sul lago e lavorava nei pozzi petroliferi del sud.
Lo sceriffo lo osservò perplesso.
"Capisco. E lei invece come si è procurato quella ferita."
Rispose che si erano fermati in una stazione di servizio per mezzogiorno e che avevano fatto a botte con due camionisti e che poi il suo compagno di viaggio era scappato via nel bel mezzo della rissa e che aveva avuto la peggio.
"Se vuole può chiedere al sig. Wallace, lui mi ha dato un passaggio fino a qui."
Lo sceriffo ci pensò su poi fece un cenno al suo vice dandogli istruzioni.
"Vedi un po' di fare una qualche ricerca su questo Stephan Janson, almeno abbiamo una traccia su cui lavorare."
Non sembrava molto convinto delle spiegazioni ricevute. Il fatto della rissa poteva anche apparirgli verosimile, essendo quasi una routine, ma la storia della stazione di servizio lo insospettiva. C'era qualcosa che non quadrava. Com'era possibile che fosse scoppiata una rissa in una stazione di servizio quando l'unica stazione di carburante nel raggio di cento miglia si trovava appena fuori paese. E a lui non risultavano risse negli ultimi tre giorni. Decise di indagare.
"Andiamo a cercare questo signor Wallace, voglio fare due chiacchiere con lui. Venga con me, signor..." gli chiese mentre si avviava.
Il panico lo colse all'improvviso. Si rese conto che stava improvvisando davanti a un uomo abituato a non credere a tutto quello che gli dicevano, anzi era pagato apposta per non farlo.
"Mi chiamo McGrath, George McGrath." Fu il primo nome che gli venne in mente associando il nome di suo fratello con il cognome di sua madre.
Lo sceriffo lo incalzò con domande sempre più insistenti. Da dove veniva, dove stava andando, come mai era così lontano da casa.
Alla domanda in quale città si fossero fermati nella stazione di servizio, esitò.
Sentì un brivido scorrere lungo la schiena mentre pensava a cosa rispondere. Non conosceva così bene la zona e il rischio di sbagliare era troppo grande.
"Non mi ricordo esattamente, sceriffo. Le ho già detto che non sono di queste parti." gli sembrò la cosa più convincente da dire.

Coleman mugugnò serrando le labbra e gli lanciò un'occhiataccia, camminando lungo la fila di auto incolonnate tranquillizzando chi chiedeva cosa fosse successo, o quando avrebbero potuto passare.
Del furgoncino del signor Wallace non c'era traccia. Aveva deciso di prendere una deviazione allungando la strada di parecchie miglia, ma che era preferibile a quell'attesa, e senza attendere aveva fatto dietro front.
Lo sceriffo lo guardò serio con le mani poggiate al cinturone.
"Allora signor McGrath - chiese disarmando la fondina della pistola - com'è che non c'è più il suo amico?"
Stephan non si capacitava. Che fine aveva fatto il furgoncino, non poteva essere sparito, non aveva senso tornare indietro. Si rese conto che non era il momento di fare quei pensieri  sotto l'incalzare delle domande dello sceriffo.
"Non so vi assicuro che era qui, si sarà scocciato di aspettare - disse - chieda pure in giro se non mi crede."
"Forse se ne è andato sì, ma quello che è sicuro è che lei non va da nessuna parte, signor McGrath. Mi segua e non cerchi di fare il furbo con me. Ci sono un po' di cose che ci deve spiegare."
Si era messo in un bel guaio e ci si era messo con le sue stesse mani. Era partito con la semplice intenzione di isolarsi dal mondo e ora invece il mondo aveva finito per investirlo come quel camion aveva fatto con il suo pick-up.
Eppure non era in ansia. Stava andando incontro a un destino che non conosceva con la stessa incoscienza di un ragazzino inesperto ma con la convinzione che qualunque esso fosse era preferibile alla sicurezza di una vita che lo rendeva ogni giorno più infelice.
Il lavoro che lo obbligava a turni massacranti alle pompe di petrolio con quell'odore insopportabile di grasso e catrame sulle mani e nelle narici. E con quel nero pesto che gli imbrattava l'anima. Le bevute coi compagni di lavoro per dimenticare il suo fallimento. E non solo nel lavoro. Sentiva il peso di una vita spesa a cercare qualcosa che lo rendesse felice ma che lo incatenava a vivere insoddisfatto.
Doveva fare qualcosa. E quel qualcosa, ora che si trovava in quel pasticcio, gli appariva come l'unica possibilità di salvezza. E intendeva giocarsi la partita fino in fondo.
Pensare in fretta a cosa dire era diventata la sua priorità. Dov'era nato, la data di nascita, come viveva e come mai si trovava lì. Ma non gli veniva in mente niente di credibile. O forse non era quella la cosa a cui doveva pensare. Intravide nella fuga l'unica possibilità di salvezza.

Lo sceriffo lo condusse all'auto e gli aprì la portiera del sedile posteriore. "Salga" disse mentre dalla centrale lo stavano chiamando.
Premette il pulsante della trasmittente e ascoltò il rapporto del sergente.
La vittima aveva un fratello che aveva confermato che ogni tanto si recava da quelle parti a pesca, aggiungendo che era da parecchio tempo che non si sentivano, né vedevano. Aveva confermato l'identità e il suo lavoro, e che sarebbe potuto arrivare solo il giorno seguente per l'identificazione, in aereo, e che comunque anche il numero di targa confermava che il pick-up era di sua proprietà.
Stephan pensò che quello fosse il momento giusto per tentare la fuga. Si spostò verso il sedile anteriore. Il cranio dello sceriffo gli apparve come una sfera invitante da colpire. 

Sferrò un pugno sulla tempia che arrivò deciso a bersaglio. 
Lo sceriffo si accasciò tramortito sul volante dell'auto che iniziò a suonare. Stephan lo afferrò per la divisa trascinandolo di lato per levarlo dal clacson e aprì la portiera fuggendo in direzione del bosco.
Le sagome degli alberi gli venivano incontro come fantasmi nella notte illuminata dai lampeggianti dei mezzi di soccorso. Correva senza darsi tempo per pensare. Corri, scappa da questo inferno, pensava correndo con le gambe pesanti come macigni.
La vista si annebbiò e un dolore accecante alla spalla lo scaraventò a terra seguito dal rumore sordo di uno sparo. Arrancò nell'alzarsi con la spalla in fiamme, il respiro frantumato dal dolore.
Un secondo colpo lo centrò dietro la schiena prima di crollare definitivamente a terra, la vita che gli scorreva davanti allo sguardo smarrito come un film prima di essere inghiottito dal buio.
All'alba del giorno dopo lo sceriffo Coleman varcò la soglia dell'obitorio accompagnato dal giudice distrettuale. 

Si massaggiò la tempia ancora dolorante e si avvicinò alle celle frigorifere.
"È meglio che indossiate le mascherine." suggerì l'inserviente aprendo la prima cella "Un cadavere carbonizzato non ha un buon odore..."
Del corpo del presunto Stephan Janson era rimasto ben poco. Brandelli di abiti fusi alle ossa carbonizzate dello scheletro e del torace. Le orbite del cranio svuotate offrivano il loro macabro spettacolo.
"Questo è quanto è rimasto degli stivali" aggiunse l'inserviente posando sul tavolo un sacchetto di plastica trasparente.
Lo sceriffo lo prese fra le dita di una mano lasciandolo penzolare.
"Che ne pensa giudice - disse - è un po' poco, considerando che l'autopsia non ci ha detto molto su di lui e nemmeno il referto dell'anatomo-patologo ci dice granché. Trauma cranico, sfondamento del torace e morte per soffocamento. Sappiamo solo che il veicolo che guidava apparteneva a un certo Stephan Janson. Il fratello dovrebbe arrivare per l'identificazione definitiva."
Il giudice rispose che sì, era al corrente, che non restava che affidarsi alla procedura di rito in questi casi e attendere che i parenti confermassero l'identità. Osservò il cadavere e rilesse il rapporto medico dell'autopsia.
"È la prima volta in vita mia - disse il giudice coprendosi la mascherina con una mano - che mi trovo di fronte a un uomo senza nemmeno una sola otturazione in bocca. È una cosa che non mi spiego."
Lo sceriffo annuì mentre l'inserviente richiudeva il corpo nella cella frigorifera per aprire l'altra.
"E la stessa cosa si può dire per questo individuo - convenne lo sceriffo osservando il cadavere del presunto George McGrath - due dentature praticamente perfette. Due maschi di razza caucasica. Stessa corporatura, più o meno della stessa età, stando al rapporto medico."
Si grattò il capo pensieroso e raccontò al giudice di quanto era accaduto prima che fosse abbattuto dai colpi di pistola dei suoi uomini.
"Avrà dato una falsa identità." rispose il giudice.
"È probabile che si tratti di un ricercato, o un evaso da qualche carcere, per essere scappato a quel modo. Avete controllato le schede segnaletiche?"
Coleman risposi di sì, che non era emerso nulla a suo carico e che con tutta probabilità era uno dei tanti sbandati di passaggio che giravano nella zona.
"Non mi spiego perché sia venuto a darmi tutte quelle informazioni su quell'altro. Di solito uno sbandato se ne frega di tutto e di tutti."
"Chi lo sa - convenne il giudice - forse avremo qualche indicazione in più quando uno dei due cadaveri sarà stato identificato, e al momento non vedo ipotesi plausibili."

Il giorno seguente Mark Janson si presentò nell'ufficio dello sceriffo. Il volto tirato e l'espressione costernata negli occhi, facevano a pugni con l'incredulità. 

"Mi spiace molto, signor Janson.. " - disse lo sceriffo alzandosi dalla scrivania -  "questo è uno di quei casi che mi fa rimpiangere di fare questo lavoro, mi segua."
Lo accompagnò nella camera mortuaria, posò sul tavolo gli stivali bruciacchiati. "Questa è l'unica cosa che si è salvata dalle fiamme - disse - il resto... " ma non riuscì a finire le parole che stava dicendo.
L'uomo osservò a lungo in silenzio ciò che rimaneva di quel paio di stivali e confermò che erano di suo fratello, che li aveva fatti fare su misura per lui da un artigiano, indicando anche alcuni disegni che il fratello aveva appositamente ideato, rendendoli unici. Aggiunse che da quando era morta la madre si erano persi di vista, che non avevano molte occasione di vedersi e che erano passati quasi otto anni dall'ultima volta che si erano visti.
Lo sceriffo obiettò che se era passato così tanto tempo era improbabile che potesse ricordarsi con tanta precisione degli stivali.
L'uomo rispose che il fratello gli ne aveva mandato un paio identici per il suo ultimo compleanno e mostrò quelli che aveva ai piedi.
Pensieroso lo sceriffo lo accompagnò alla porta, poi si fermò.
"Mi dica signor Janson suo fratello aveva delle strane frequentazioni che lei sappia?"
La domanda lasciò stupito l'uomo che si strinse nelle spalle desideroso solo di lasciare l'obitorio.
"Senta sceriffo, mio fratello era la peggior compagnia per se stesso. Ma dubito che potesse avere delle strane frequentazioni. Era un bravo ragazzo, su questo posso mettere la mano sul fuoco. È morto in un incidente d'auto, non capisco cosa c'entrino le sue frequentazioni.
Lo sceriffo si sistemò il cinturone e tornò sui suoi passi.
"Le chiedo solo di dare un'occhiata a quest'uomo, poi prometto che non le ruberò altro tempo" disse avvicinandosi alla seconda cella frigorifera. "È uno sbandato, forse uno di quelli che trafficano whisky illegalmente, ma sembra che sapesse molte cose su suo fratello."
Spiegò che si era presentato sul luogo dell'incidente dando delle spiegazioni poco attendibili e che una volta arrestato aveva tentato di scappare e che era stato abbattuto da uno dei suoi agenti.
Aprì la cella e sfilò fuori la barella con il cadavere di Stephan. Il colorito cinereo della pelle tirata sul volto, gli occhi scavati nelle orbite nerastre.
L'uomo tacque. In silenzio osservò quel volto scavato e esangue. Poi guardò lo sceriffo e si sedette con le mani sul viso, visibilmente turbato.
"È lui mio fratello, sceriffo, non quell'altro! - disse afferrando il sacchetto contenente i resti dei suoi stivali - Non so cosa dirle né perché abbia potuto fare una cosa simile. Ma l'unica cosa che posso dire, conoscendolo, è che forse non gli bastava morire una volta sola."