Quell'anno l'inverno era arrivato prima
del tempo. Già da qualche settimana le giornate erano sferzate da un
vento gelido, ma nessuno nella carovana si sarebbe aspettato che la neve
arrivasse con così grande anticipo.
Erano in marcia da diversi giorni. Una marcia forzata, dettata dalla necessità di passare il valico prima che la neve lo chiudesse. Era questione di vita o di morte. Farsi cogliere dalla tormenta sarebbe stato un guaio serio per tutti e questo il capo villaggio lo sapeva bene.
Per questo motivo quella notte non prese sonno. Doveva prendere una decisone e in fretta. Si alzò indossando la sua pesante pelliccia e uscì fuori nel cuore della notte girando fra i carri per controllare il bestiame.
L'aria era un turbinio bianco che il vento gli sferzava sulla folta barba scura. Era un uomo possente dalla voce poderosa ingabbiata in un corpo che incuteva timore a chiunque lo incontrasse. Nessuno tra gli zingari osava sfidarlo in duello e meno ancora contraddire una sua qualsiasi decisione.
Era il capo indiscusso. Governava la carovana con polso e fermezza, e tutti gli riconoscevano di essere un uomo giusto.
Si accovacciò ravvivando le braci ancora ardenti del falò che ingaggiavano una disperata battaglia contro il gelo, e riattizzò il fuoco e rimase a scaldarsi le mani, pensieroso.
Da lontano gli ululati dei lupi si facevano sempre più insistenti e vicini. Nemmeno loro riuscivano a dormire, pensò.
"Brutto segno..." Sapeva bene che quando i lupi erano così vicino a valle, voleva dire che più in alto il gelo aveva stretto la sua morsa.
Camminava nella neve trascinando i piedi per assicurarsi di quanta ne fosse caduta nel giro di poche ore. Affondava già fino al tacco dello stivale. Se avesse continuato così, all'alba i carri avrebbero faticato non poco a riprendere la marcia e raggiungere il valico sarebbe stata una vera impresa.
Proseguì verso il limitare del bosco e si fermò in ascolto.
Il vento urlava fra le gole più alte, intonando il suo controcanto con quello dei lupi. In quell'istante sembrò quasi che il vento gli parlasse. Sulle prime non ci fece caso e proseguì lungo il ciglio della strada.
Una seconda raffica, di un'intensità inaudita lo costrinse a incurvarsi sulle spalle per proseguire, e ancora quella voce gli girò attorno in un vortice spumeggiante di neve.
"Ho fame ma, non ho sete..."
Rimase interdetto. Questa volta non poteva avere dubbi. La cosa più ovvia che pensò fu di non essere solo. Si guardò attorno e vide il vortice alzarsi verso il cielo con le sembianze di una donna, per poi svanire nel nulla.
"Colpa di quella schifezza di acquavite... " pensò tirando su il bavero della pelliccia.
Aveva lasciato il suo carrozzone inquieto come quella maledetta notte in cui il gelo si era portato via l'unica donna che avesse mai amato in vita sua.
Erano passati anni, e ancora il peso di quel ricordo lo destava nel sonno ogni volta che cadeva la prima neve.
Se ne faceva una colpa per aver scelto il momento sbagliato per attraversare il valico, e anche ora doveva scegliere: proseguire e rischiare la vita di qualcuno della sua carovana o tornare indietro. Passare il valico significava svernare a Turok e trascorrere un inverno tranquillo e mite.
Non farlo significava un inverno di stenti nei piccoli villaggi di cacciatori. Affari pochi, risse tante e guai a non finire.
Si addentrò nel bosco inseguendo i fantasmi del suo passato. Alzò gli occhi al cielo e la neve gli cadeva sulle lacrime che non riuscivano a scendere e ancora quella voce a sussurrare le stesse identiche parole.
"Ho fame, ma non ho sete..."
La neve gli ricordava lei. Lei e la neve erano quasi una cosa sola. E lui gioiva nel vederla perdersi ogni volta, con quei suoi occhi da bambina incorniciati da lunghi capelli biondi. Ma da quando non c'era più, la neve era un miscuglio di gioia e di dolore.
"Ho fame, ma non ho sete..." Continuò a camminare attirato da quella voce creata dal vento e il vortice si rianimò davanti alla vista fra gli alberi del bosco.
Atterrito dalla paura si fermò cercando un via di fuga laterale che subito il vortice gli sbarrò.
"Non avere paura... io so molte cose di te..."
Adesso non aveva più alcun dubbio. Quella voce era reale, più vera di quanto fosse disposto a ammettere.
"Chi sei ? - domandò aggrottando le folte sopracciglia - Sei un Nargat, un demone, o un'illusione della mia mente malata..."
Un latrato feroce si sovrappose alle sue ultime parole. Forse i lupi avevano trovato di che sfamarsi con qualche incauta preda notturna.
"I nargat non vivono più da queste parti da molto tempo - rispose la voce - dovresti saperlo. Il signore delle tenebre li ha trasformati in roccia inerme più di duecento anni fa. Erano gli unici in grado di spezzare qualsiasi incantesimo. Io sono lo spirito di Saelina. Non hai nulla da temere da me."
Un vago ricordo di quel nome lo riportò a quando da ragazzo ascoltava gli anziani raccontare storie e leggende del suo popolo davanti ai falò nelle lunghe sere d'inverno.
"Saelina, la ragazza di neve..." disse fissando il vortice assumere le sembianze di una fanciulla.
"La ragazza di neve, si - ammise la creatura inondata da un candido bagliore - solo chi è a un passo dal baratro e ha il cuore gonfio di tormento può vedermi."
"Ho solo un vago ricordo della tua storia - rispose rivolto alla visione - ma all'epoca ero ancora un ragazzino ingenuo. Ora non credo più nelle favole. Tu sei solo frutto della mia immaginazione."
"Le cose che ci appaiono incredibili spaventano solo le persone prive di cuore e tu hai un cuore grande. Non è importante che tu ci creda o no. È importante che mi ascolti, per il bene tuo e quello della tua carovana."
Lo spirito si mosse in una danza eterea ripetendo ancora una volta il suo triste ritornello lasciando sulla neve una rossa striatura di sangue...
"Ho fame... Ma non ho sete..."
"Perché tutto quel sangue... - chiese l'uomo aggrottando la fronte - è un altro dei tuoi effetti per impressionarmi?"
Lo spirito della donna allora si fermò guardandolo con occhi di ghiaccio.
"È il prezzo che devo pagare ogni volta che il mio spirito lascia la prigione di ghiaccio in cui sono costretta a vivere. Hai mai provato a farti trapassare da mille lamine di ghiaccio?"
"Gli spiriti portano con sé visioni terribili, diceva il vecchio Zaghart - commentò l'uomo guardando lo spirito con sospetto - ma starò ad ascoltarti ugualmente. I miei spettri vengono tutte le notti a trovarmi, non sarà la tua storia a spaventarmi."
"Al tempo in cui i nargat vivevano in questi boschi - iniziò a raccontare lo spirito della fanciulla - la mia vita era felice e spensierata.
I nargat vegliavano su tutte le creature del bosco ed erano in pace con gli uomini. Erano esseri pacifici, dotati di straordinari poteri magici. Nulla per loro era impossibile. Non avevano né corpo né forma, erano puro spirito. Potevano abitare un albero, o un fiore, oppure una farfalla, o semplicemente una goccia d'acqua.
Un giorno arrivò da queste parti un oscuro cavaliere che montava un nero cavallo. Non aveva armatura, e una maschera nera celava il suo volto. Portava con sé un lunga spada e una nera catena appese alla sella.
Il suono di quella catena incuteva timore solo a sentirla strisciare sul terreno. Nessuno sapeva il suo nome, e nessuno l'aveva mai visto da queste parti a memoria d'uomo.
Il terrore scese in tutto il villaggio e anche i nargat lo temevano. Oscuri presagi di morte si erano impadroniti di noi.
Si fermò davanti alla porta della mia casa e bussò. Disse che aveva fatto un lungo viaggio. Che gli avevano parlato di una bellissima fanciulla che viveva nel nostro villaggio, e che era venuto per prenderla in moglie.
Quella fanciulla ero io. Il mio rifiuto scatenò la sua ira. Quella notte aveva iniziato a nevicare. Era la prima neve dell'anno. Il villaggio dormiva di un sonno inquieto.
Il signore delle tenebre sfoderò la sua spada di fuoco, sibilando parole oscure in un lingua sconosciuta al cui suono la sua nera catena si animò come un terribile serpente. Mi avvolse nella sua morsa gelida trascinandomi via.
I nargat vennero in mio soccorso seppur temano il fuoco che è l'unica arma in grado di distruggerli.
Si nascosero fra i fiocchi di neve che cadevano e invano tentarono di liberarmi dalla morsa della catena. L'oscuro signore con il fuoco della spada li pietrificò nella roccia della montagna, là dove ora è la mia stessa prigione di ghiaccio.
Prima di andarsene, dettò le sue condizioni.
Non avendo potuto avere il mio cuore, così sentenziò, sarei rimasta per l'eternità avvolta dal ghiaccio, custodita dalla sua catena affinché nessuno potesse mai spezzare il suo incantesimo."
Con unghie affilate lo spirito si accarezzò una guancia. Rosse striature di sangue gli segnarono il volto, cadendo sulla neve fresca.
Prese a raccontare di un giovane del villaggio che ogni giorno si recava alla cascata di ghiaccio ad ammirare la sua statua.
"Era ostinato e pieno di coraggio - disse - e non si dava pace nel tentativo di liberarmi dalla mia sofferenza.
E tanto più i suoi sforzi erano vani, tanto più il suo cuore si riempiva d'amore per me. Un giorno accatastò un'enorme pira ai piedi della cascata di ghiaccio, convinto di poter vincere il potere della maledizione e gli diede fuoco.
La pira bruciò per giorni interi senza scalfire il ghiaccio. Tuttavia la nera catena si risvegliò al calore delle fiamme e come un serpente infuocato lo inghiottì per sempre. La sua morte è solo colpa mia. Colpa della mia bellezza che rende folli gli uomini, e risveglia gli spiriti delle tenebre. La mia punizione è più che meritata. Ora comprendi la mia pena e il sangue che accompagna i miei passi."
A quel racconto anche gli alberi del bosco parvero immobili e attenti ad ascoltare. Un'espressione atterrita segnò il viso dell'uomo.
"Non dimenticherò mai il suo sguardo - disse lo spettro - e il suo sorriso quando le fiamme lo avvolsero. E le sue labbra che mormoravano ti amo.”
"Da quando la bellezza è una colpa? - rispose l'uomo - Non è tua la colpa di cui porti il peso. Quanto a quel giovane, credo che se anche tornasse in vita rifarebbe la stessa identica cosa. Al cuore non si può comandare anche quando le sue imprese appaiono folli e disperate.”
Lo spirito di Laesina emise un sospiro gelido e una nuvola di cristalli infranse l'aria in mille riflessi e si avvicinò all'uomo inondandolo di luce.
“Tu hai un peso che ancora porti con te, al pari del mio, e ancora ti tormenti. Non fu colpa tua della sua morte, eppure ti dai ancora tanta pena. Io sono qui per salvarti. Lei sa del dolore che ancora racchiude il tuo cuore. E ha pena per te. La notte in cui l'hai persa ho pianto per voi. Tu non potevi salvarla, come io non potevo salvare me stessa dal mio destino. La sua malattia la uccise. Non il freddo, non le tue decisioni. Accetta dunque il tuo destino, come io ho accettato il mio. Placa la tua rabbia e domani conduci la tua gente sul valico. Farà troppo freddo perfino per nevicare.”
Lo spirito tornò a vorticare prima ancora che l'uomo potesse parlare librandosi nell'aria fino a esplodere in una nuvola di cristalli. Quando l'aria tornò limpida aveva smesso di nevicare. L'uomo tirò un sospiro di sollievo e si avviò per la strada seguendo le proprie orme.
Nel suo carrozzone la luce della lanterna era accesa, proprio come la notte in cui la perse. Si stese sul letto senza togliersi il pastrano a pensare a quella folle visione e si addormentò con l'immagine di lei mentre ancora nella mente riecheggiava la voce dello spettro: "ho fame... ma non ho sete..."
Erano in marcia da diversi giorni. Una marcia forzata, dettata dalla necessità di passare il valico prima che la neve lo chiudesse. Era questione di vita o di morte. Farsi cogliere dalla tormenta sarebbe stato un guaio serio per tutti e questo il capo villaggio lo sapeva bene.
Per questo motivo quella notte non prese sonno. Doveva prendere una decisone e in fretta. Si alzò indossando la sua pesante pelliccia e uscì fuori nel cuore della notte girando fra i carri per controllare il bestiame.
L'aria era un turbinio bianco che il vento gli sferzava sulla folta barba scura. Era un uomo possente dalla voce poderosa ingabbiata in un corpo che incuteva timore a chiunque lo incontrasse. Nessuno tra gli zingari osava sfidarlo in duello e meno ancora contraddire una sua qualsiasi decisione.
Era il capo indiscusso. Governava la carovana con polso e fermezza, e tutti gli riconoscevano di essere un uomo giusto.
Si accovacciò ravvivando le braci ancora ardenti del falò che ingaggiavano una disperata battaglia contro il gelo, e riattizzò il fuoco e rimase a scaldarsi le mani, pensieroso.
Da lontano gli ululati dei lupi si facevano sempre più insistenti e vicini. Nemmeno loro riuscivano a dormire, pensò.
"Brutto segno..." Sapeva bene che quando i lupi erano così vicino a valle, voleva dire che più in alto il gelo aveva stretto la sua morsa.
Camminava nella neve trascinando i piedi per assicurarsi di quanta ne fosse caduta nel giro di poche ore. Affondava già fino al tacco dello stivale. Se avesse continuato così, all'alba i carri avrebbero faticato non poco a riprendere la marcia e raggiungere il valico sarebbe stata una vera impresa.
Proseguì verso il limitare del bosco e si fermò in ascolto.
Il vento urlava fra le gole più alte, intonando il suo controcanto con quello dei lupi. In quell'istante sembrò quasi che il vento gli parlasse. Sulle prime non ci fece caso e proseguì lungo il ciglio della strada.
Una seconda raffica, di un'intensità inaudita lo costrinse a incurvarsi sulle spalle per proseguire, e ancora quella voce gli girò attorno in un vortice spumeggiante di neve.
"Ho fame ma, non ho sete..."
Rimase interdetto. Questa volta non poteva avere dubbi. La cosa più ovvia che pensò fu di non essere solo. Si guardò attorno e vide il vortice alzarsi verso il cielo con le sembianze di una donna, per poi svanire nel nulla.
"Colpa di quella schifezza di acquavite... " pensò tirando su il bavero della pelliccia.
Aveva lasciato il suo carrozzone inquieto come quella maledetta notte in cui il gelo si era portato via l'unica donna che avesse mai amato in vita sua.
Erano passati anni, e ancora il peso di quel ricordo lo destava nel sonno ogni volta che cadeva la prima neve.
Se ne faceva una colpa per aver scelto il momento sbagliato per attraversare il valico, e anche ora doveva scegliere: proseguire e rischiare la vita di qualcuno della sua carovana o tornare indietro. Passare il valico significava svernare a Turok e trascorrere un inverno tranquillo e mite.
Non farlo significava un inverno di stenti nei piccoli villaggi di cacciatori. Affari pochi, risse tante e guai a non finire.
Si addentrò nel bosco inseguendo i fantasmi del suo passato. Alzò gli occhi al cielo e la neve gli cadeva sulle lacrime che non riuscivano a scendere e ancora quella voce a sussurrare le stesse identiche parole.
"Ho fame, ma non ho sete..."
La neve gli ricordava lei. Lei e la neve erano quasi una cosa sola. E lui gioiva nel vederla perdersi ogni volta, con quei suoi occhi da bambina incorniciati da lunghi capelli biondi. Ma da quando non c'era più, la neve era un miscuglio di gioia e di dolore.
"Ho fame, ma non ho sete..." Continuò a camminare attirato da quella voce creata dal vento e il vortice si rianimò davanti alla vista fra gli alberi del bosco.
Atterrito dalla paura si fermò cercando un via di fuga laterale che subito il vortice gli sbarrò.
"Non avere paura... io so molte cose di te..."
Adesso non aveva più alcun dubbio. Quella voce era reale, più vera di quanto fosse disposto a ammettere.
"Chi sei ? - domandò aggrottando le folte sopracciglia - Sei un Nargat, un demone, o un'illusione della mia mente malata..."
Un latrato feroce si sovrappose alle sue ultime parole. Forse i lupi avevano trovato di che sfamarsi con qualche incauta preda notturna.
"I nargat non vivono più da queste parti da molto tempo - rispose la voce - dovresti saperlo. Il signore delle tenebre li ha trasformati in roccia inerme più di duecento anni fa. Erano gli unici in grado di spezzare qualsiasi incantesimo. Io sono lo spirito di Saelina. Non hai nulla da temere da me."
Un vago ricordo di quel nome lo riportò a quando da ragazzo ascoltava gli anziani raccontare storie e leggende del suo popolo davanti ai falò nelle lunghe sere d'inverno.
"Saelina, la ragazza di neve..." disse fissando il vortice assumere le sembianze di una fanciulla.
"La ragazza di neve, si - ammise la creatura inondata da un candido bagliore - solo chi è a un passo dal baratro e ha il cuore gonfio di tormento può vedermi."
"Ho solo un vago ricordo della tua storia - rispose rivolto alla visione - ma all'epoca ero ancora un ragazzino ingenuo. Ora non credo più nelle favole. Tu sei solo frutto della mia immaginazione."
"Le cose che ci appaiono incredibili spaventano solo le persone prive di cuore e tu hai un cuore grande. Non è importante che tu ci creda o no. È importante che mi ascolti, per il bene tuo e quello della tua carovana."
Lo spirito si mosse in una danza eterea ripetendo ancora una volta il suo triste ritornello lasciando sulla neve una rossa striatura di sangue...
"Ho fame... Ma non ho sete..."
"Perché tutto quel sangue... - chiese l'uomo aggrottando la fronte - è un altro dei tuoi effetti per impressionarmi?"
Lo spirito della donna allora si fermò guardandolo con occhi di ghiaccio.
"È il prezzo che devo pagare ogni volta che il mio spirito lascia la prigione di ghiaccio in cui sono costretta a vivere. Hai mai provato a farti trapassare da mille lamine di ghiaccio?"
"Gli spiriti portano con sé visioni terribili, diceva il vecchio Zaghart - commentò l'uomo guardando lo spirito con sospetto - ma starò ad ascoltarti ugualmente. I miei spettri vengono tutte le notti a trovarmi, non sarà la tua storia a spaventarmi."
"Al tempo in cui i nargat vivevano in questi boschi - iniziò a raccontare lo spirito della fanciulla - la mia vita era felice e spensierata.
I nargat vegliavano su tutte le creature del bosco ed erano in pace con gli uomini. Erano esseri pacifici, dotati di straordinari poteri magici. Nulla per loro era impossibile. Non avevano né corpo né forma, erano puro spirito. Potevano abitare un albero, o un fiore, oppure una farfalla, o semplicemente una goccia d'acqua.
Un giorno arrivò da queste parti un oscuro cavaliere che montava un nero cavallo. Non aveva armatura, e una maschera nera celava il suo volto. Portava con sé un lunga spada e una nera catena appese alla sella.
Il suono di quella catena incuteva timore solo a sentirla strisciare sul terreno. Nessuno sapeva il suo nome, e nessuno l'aveva mai visto da queste parti a memoria d'uomo.
Il terrore scese in tutto il villaggio e anche i nargat lo temevano. Oscuri presagi di morte si erano impadroniti di noi.
Si fermò davanti alla porta della mia casa e bussò. Disse che aveva fatto un lungo viaggio. Che gli avevano parlato di una bellissima fanciulla che viveva nel nostro villaggio, e che era venuto per prenderla in moglie.
Quella fanciulla ero io. Il mio rifiuto scatenò la sua ira. Quella notte aveva iniziato a nevicare. Era la prima neve dell'anno. Il villaggio dormiva di un sonno inquieto.
Il signore delle tenebre sfoderò la sua spada di fuoco, sibilando parole oscure in un lingua sconosciuta al cui suono la sua nera catena si animò come un terribile serpente. Mi avvolse nella sua morsa gelida trascinandomi via.
I nargat vennero in mio soccorso seppur temano il fuoco che è l'unica arma in grado di distruggerli.
Si nascosero fra i fiocchi di neve che cadevano e invano tentarono di liberarmi dalla morsa della catena. L'oscuro signore con il fuoco della spada li pietrificò nella roccia della montagna, là dove ora è la mia stessa prigione di ghiaccio.
Prima di andarsene, dettò le sue condizioni.
Non avendo potuto avere il mio cuore, così sentenziò, sarei rimasta per l'eternità avvolta dal ghiaccio, custodita dalla sua catena affinché nessuno potesse mai spezzare il suo incantesimo."
Con unghie affilate lo spirito si accarezzò una guancia. Rosse striature di sangue gli segnarono il volto, cadendo sulla neve fresca.
Prese a raccontare di un giovane del villaggio che ogni giorno si recava alla cascata di ghiaccio ad ammirare la sua statua.
"Era ostinato e pieno di coraggio - disse - e non si dava pace nel tentativo di liberarmi dalla mia sofferenza.
E tanto più i suoi sforzi erano vani, tanto più il suo cuore si riempiva d'amore per me. Un giorno accatastò un'enorme pira ai piedi della cascata di ghiaccio, convinto di poter vincere il potere della maledizione e gli diede fuoco.
La pira bruciò per giorni interi senza scalfire il ghiaccio. Tuttavia la nera catena si risvegliò al calore delle fiamme e come un serpente infuocato lo inghiottì per sempre. La sua morte è solo colpa mia. Colpa della mia bellezza che rende folli gli uomini, e risveglia gli spiriti delle tenebre. La mia punizione è più che meritata. Ora comprendi la mia pena e il sangue che accompagna i miei passi."
A quel racconto anche gli alberi del bosco parvero immobili e attenti ad ascoltare. Un'espressione atterrita segnò il viso dell'uomo.
"Non dimenticherò mai il suo sguardo - disse lo spettro - e il suo sorriso quando le fiamme lo avvolsero. E le sue labbra che mormoravano ti amo.”
"Da quando la bellezza è una colpa? - rispose l'uomo - Non è tua la colpa di cui porti il peso. Quanto a quel giovane, credo che se anche tornasse in vita rifarebbe la stessa identica cosa. Al cuore non si può comandare anche quando le sue imprese appaiono folli e disperate.”
Lo spirito di Laesina emise un sospiro gelido e una nuvola di cristalli infranse l'aria in mille riflessi e si avvicinò all'uomo inondandolo di luce.
“Tu hai un peso che ancora porti con te, al pari del mio, e ancora ti tormenti. Non fu colpa tua della sua morte, eppure ti dai ancora tanta pena. Io sono qui per salvarti. Lei sa del dolore che ancora racchiude il tuo cuore. E ha pena per te. La notte in cui l'hai persa ho pianto per voi. Tu non potevi salvarla, come io non potevo salvare me stessa dal mio destino. La sua malattia la uccise. Non il freddo, non le tue decisioni. Accetta dunque il tuo destino, come io ho accettato il mio. Placa la tua rabbia e domani conduci la tua gente sul valico. Farà troppo freddo perfino per nevicare.”
Lo spirito tornò a vorticare prima ancora che l'uomo potesse parlare librandosi nell'aria fino a esplodere in una nuvola di cristalli. Quando l'aria tornò limpida aveva smesso di nevicare. L'uomo tirò un sospiro di sollievo e si avviò per la strada seguendo le proprie orme.
Nel suo carrozzone la luce della lanterna era accesa, proprio come la notte in cui la perse. Si stese sul letto senza togliersi il pastrano a pensare a quella folle visione e si addormentò con l'immagine di lei mentre ancora nella mente riecheggiava la voce dello spettro: "ho fame... ma non ho sete..."
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