In paese lo chiamavano così, il Giocattolaio e
nessuno si era mai preoccupato di sapere il suo vero nome. A lui del
resto non dispiaceva, per come era fatto meno si sapeva di lui e più si
sentiva a suo agio. Viveva nel retrobottega del suo negozio di un'unica
vetrina, dai vetri sempre impolverati, ma non c'era merce esposta. Anzi a
dire il vero nemmeno all'interno si era mai riuscito a capire cosa
vendesse e in effetti non aveva nulla da vendere.
Era un tipo
strano. Scontroso ma di indole pacifica. Non amava le risse, non amava
la confusione, e alla compagnia degli uomini preferiva quella del suo
cane. Un trovatello che lo seguiva ovunque andasse.
Viveva di
espedienti e per campare faceva mille lavori, in genere i più umili.
Dall'arrotino, allo spazzacamini, dal minatore al bracciante, all'uomo
di fatica.
Girava voce che in passato avesse dilapidato una
vera fortuna al gioco, ma erano tante le voci sul suo conto. C'era chi
diceva che un tempo fosse stato un musicista famoso, chi un medico, e
perfino c'era chi giurava di aver visto la sua faccia su qualche
manifesto di un circo russo. E non mancavano nemmeno le voci di chi
diceva che fosse un avanzo di galera.
In paese era visto con sospetto dalle autorità e dai benpensanti.
Amava
la musica e ogni tanto suonava un violino che si era costruito con le
sue mani. Le musiche se le inventava lui, a orecchio, senza conoscere
una nota scritta. Odiava le convenzioni e gli ipocriti e il denaro.
Aveva
mani abili e non c'era cosa che non sapesse costruire o riparare. E
amava i bambini. Amava molto i bambini, e loro amavano lui.
Quando
li incontrava per la strada gli strappavano sempre un sorriso. E per
loro costruiva bellissimi giocattoli dai colori sgargianti. Piccoli
animaletti in legno o semplici bambole, ma anche sofisticati giocattoli
meccanici in grado di muoversi, monopattini, aquiloni dalle forme
fantastiche.
Aveva una fantasia fuori dal comune e la
esprimeva così, costruendo giocattoli da regalare ai bambini. Ogni cosa,
ogni oggetto per lui si trasformava in gioco. Non si faceva mai pagare.
Gli bastava il loro sorriso, diceva. E i bambini lo adoravano,
additandolo per la strada quando lo incontravano.
Il giocattolaio! Il giocattolaio! Esclamavano contenti, trascinati via di genitori che invece lo guardavano con sospetto.
Se
ne andò un giorno di novembre, in silenzio, così come era arrivato.
Nella bottega vuota con la vetrina offuscata dalla polvere, era rimasto
il suo ultimo bellissimo giocattolo: un cavallino a dondolo in legno
tanto perfetto da sembrare vero, sopra il quale aveva lasciato il suo
ultimo saluto ai bambini di quel piccolo paese. Erano passati
esattamente mille ottocentottantadue giorni da quando era arrivato e di
lui non si seppe più nulla, ma ancora oggi se vi capitasse di passare
per quel borgo potete vedere il suo cavallino a dondolo far bella mostra
di sé davanti all'ingresso della scuola. Una piccola targa in ottone
recita le sue ultime parole di commiato.
"Perché il gioco non sia solo cibo per la mente, ma anche per l'anima..."
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