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venerdì 8 giugno 2012

L'arciere




 
Quel mattino l'aria era ancora fresca. L'umidità della notte aveva lasciato le sue tracce bagnate sull'erba che portava lungo il viale del dojo. Con passi rapidi e brevi l'arciere si affrettava con il suo arco sulle spalle avvolto in un nero tessuto macchiato di un rosso vivace.
Al suo fianco un roseto apriva le foglie alla prima luce del giorno. Il sole ancora basso lasciava intuire che quel giorno avrebbe fatto molto caldo.
Si fermò un istante. Un volo leggero attraversò la sua visuale e si posò su un ramo lì vicino.
L'arciere guardò l'uccello e per un secondo anche l'uccello sembrò guardarlo. Poi arruffò le penne, e si rialzò in volo.
Nobai
- pensò! Fermò i suoi passi sulla ghiaia del sentiero che stava percorrendo. Posò un piede scalzo sull'erba ai bordi della stradina. Sentì il fresco profumo della rugiada.
Chiuse gli occhi e rimase immobile per un tempo indefinito.
"Nobai... - ripeteva... nobai... " Suono che girava nella mente, ordine astratto, imperativo di perfezione non voluta oltre l'estrema tensione dell'arco, espansione spirituale della mente, del corpo. Intensità di spirito e assenza di intenzioni crescenti.
Riaprì gli occhi e di fronte a lui una foglia gialla era caduta ai suoi piedi.
Si chinò e la raccolse con grazia, appoggiandola sul palmo segnato dai calli dell'arco. L'avvicinò alla bocca e soffiò.
La foglia si levò nell'aria e nello stesso istante l'arciere si mosse. Negli occhi un lampo giallo che si levava abbagliato dalla luce crescente del sole.
Raggiunto il dojo, posò il suo arco all'ingresso. Levò i sandali e s’inginocchiò in segno di rispetto.
Rimase in assoluto silenzio mentre toglieva al suo arco il rivestimento. Poi lo tese e fissò la corda.
Ascoltò il suono che tante volte aveva udito.
Si portò al centro della pedana. In fondo al suo sguardo una fila di occhi lo fissava puntandolo come un bersaglio.
I bersagli erano pronti, come sempre, nell’attesa che un dardo aprisse il loro il cuore come l’amata in attesa della voce del suo sposo.
Si girò verso le frecce. Ne prese una e la percorse con lentezza con un dito dalla punta fino alle estremità delle piume. La sentì, la fece sua al tocco. Si riconobbe nelle sfumature del legno, del colore, nel freddo vibrante della punta.
Tese l'arco e chiuse gli occhi. Alzò la freccia e la tese.
Poi di colpo un battere d’ali gli balenò nei ricordi. Si fermò in ascolto.
Su un ramo, invisibile al suo sguardo, un uccello si era posato. Con un movimento rapido del becco si sistemò una piuma fuori posto e tornò a volgere il capo verso il nulla indefinito.
L'arciere puntò l'indice con gli occhi socchiusi sulla guaina della freccia. Sistemò il piumaggio, sollevò il capo in direzione del bersaglio e si tese con l'arco.
Il tempo immobile. Attimi sospesi di tensione che si annulla, che galleggia sui ricordi.
 
Silenzio... silenzi... 

Poi lo schiocco della freccia irruppe nell'aria. Fulmineo e rapido come un batter d'ali d'uccello che spicca il volo. Il suono secco e vibrante.
Aprì gli occhi e in quell’istante l'uccello si mosse. Una foglia, gialla, cadde ai piedi dell’arciere, turbata dalla impercettibile brezza delle ali.

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