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domenica 10 giugno 2012

Le visioni del lupo




Camminava sul crinale della collina, la testa che ciondolava bassa fra le spalle. Il vento invece gli camminava contro, sollevando piccoli sbuffi di terra dalle zampe, arruffandogli il pelo come erba nel prato. Era un lupo solitario.
L'uomo ne seguiva le tracce da molto tempo. Sapeva della sua presenza dalle orme che incrociavano i suoi passi in giro per la montagna. Non si erano mai incontrati e nessuno poteva stabilire chi dei due osservasse l'altro, se l'uomo o il lupo. Era la prima volta che usciva così allo scoperto. La sua sagoma si stagliava netta sopra il profilo dolce della collina, che scivolava verso le altre in quel paesaggio deserto. Camminava verso un albero che si ergeva come un paladino a sfidare il vento, unico erede di un'antica foresta.
L'uomo era disteso supino, i gomiti poggiati al terreno. Si teneva sotto vento e lo osservava. “Strano” pensò l'uomo. Allungò un mano verso la sacca e prese il binocolo. Vedeva distintamente le zampe dell'animale lasciare le orme nel terriccio brullo, sollevando la polvere come trotterellasse su nuvole di lava. “Lo sta facendo apposta – mormorò – nessun lupo uscirebbe in campo aperto a quel modo. Troppo rischioso.” Restò a lungo ad osservarlo.
Da tempo le visioni dell'uomo erano quelle del lupo. E nessuno poteva sapere se quelle del lupo non fossero le stesse dell'uomo.
Da quando aveva incrociato le sue orme la prima volta, il suo sonno era diventato inquieto. La sua mente popolata da continue visioni di un antico vagare.

Il lupo aveva fiutato l'odore del sangue. Poteva sentire l'odore di una preda a miglia di distanza. La vedeva davanti a sé, pur senza averla mai vista. Sapeva dove trovarla. Sapeva dove aspettarla e sapeva infallibilmente quali sentieri avrebbe percorso. Sapeva esattamente dove avrebbe teso l'agguato. Inconsapevole, la preda qualunque essa fosse, camminava ignara verso il suo destino recitando il copione che il lupo aveva previsto. O forse aveva soltanto avuto una visione. Forse per questo camminava spedito.
Forse per questo anche l'idea di attraversare un territorio così scoperto non lo preoccupava. O forse voleva solo vedere se quell'uomo che lo seguiva con tanta insistenza era altrettanto capace di mostrarsi, sfidare la propria inquietudine, il fastidio causato da quella presenza.
Nessuno come un lupo è capace di interpretare gli odori del vento. Nessuno come un lupo diffida dell'essere umano, quasi fosse il suo demone. Annusò l'aria sollevando appena il capo. C'era qualcosa in più. Fermo sulle zampe allargò le narici. Restò in attesa della conferma. Poi si dileguò nel bosco. Sentiva l'uomo. L'aveva visto nelle sue visioni. Sapeva che non era una preda, e la cosa lo disturbava.
Allora il lupo cammina spedito. Prende la sua decisione e lancia la sfida. Si lascia guardare. "Sono qui... mi vedi?” pensa il lupo.
L'uomo si rialzò, spazzandosi le ginocchia con una mano. Mise al collo il binocolo e scese il pendio affondando i passi nel terriccio friabile costellato qua e là da macchie di arbusti di corniolo.
Si rifugiava fra quelle colline quando il peso dei giorni gli diventava insopportabile. Ripercorreva sentieri che gli erano cari nella sua adolescenza, quando d'estate batteva palmo a palmo le colline ammantate di un verde ancora intenso alla ricerca dei ciliegi selvatici in mezzo a quei boschi di faggi secolari. O quando si divertiva a seguire le tracce dei cervi nascosti nel fitto della boscaglia. Era un buon sistema per placare la sua inquietudine. Camminò nella stessa direzione del lupo. La sua sagoma scarna si stagliava come un'ombra estranea a quel paesaggio. Il lupo si fermò sotto l'albero solitario, annusò il terreno girandogli attorno, poi marcò il territorio e proseguì e riprese a scendere la collina brulla. Il vento gli aveva portato l'odore di una femmina di lupo, come un soffio caldo di un vulcano che pompa lava nelle vene del lupo.
Non mi scappi... stavolta non mi scappi” disse l'uomo. Lo vide entrare nella boscaglia, puntando le zampe sul pendio del terreno. Affrettò il passo sentendo il peso degli anni affondare nei muscoli. Gli occorsero una decina di minuti per arrivare al limitare del bosco ma del lupo nessuna traccia. Ansimante si fermò con il palmo della mano poggiato alla corteccia di un grosso carpino. Il vento sussurrava lieve fra le foglie carezzando il silenzio con la leggerezza di un battito d'ali di un colibrì. Era vicino, lo sentiva. Era il silenzio che accompagna i passi del lupo. Ormai aveva imparato a riconoscerlo. Sentiva che studiava le sue mosse. Posò un ginocchio a terra, spazzando le foglie del terreno con una mano. Aprì la sacca e prese il pezzo di carne avvolto nella carta. Sistemò il fegato di un agnello sulle foglie e si asciugò le mani sfregandole nel terriccio. Si allontanò, sicuro che il lupo non avrebbe resistito all'odore del sangue.

Tornò il giorno seguente. Del lupo nessuna traccia. La carne infestata dai mosconi che ronzavano nella luce del tramonto, tranne le orme di qualche uccello non c'erano impronte di lupo.
Guardò quel resto di carne putrescente con una smorfia, sistemandosi lo zaino sulla spalla. Un ciuffetto di peli scuro era rimasto aggrappato alla base della corteccia dell'albero vicino. Sembrava una traccia lasciata di proposito dal lupo, l'unica palesemente visibile. Si chinò e lo prese fra le dita, annusandolo prima di disperderlo nella brezza che spirava. Il cielo era un braciere infuocato nel quale rade nuvole scure dalla consistenza del carbone finivano per spegnersi sotto le ombre della notte che avanzava. Proseguì fino al torrente che sentiva scorrere a valle.
Uscì allo scoperto nei pressi di un gruppo di rocce lisce erose dal tempo e dalle piene del ruscello, circondate da un morbido tappeto di licheni. La carcassa sventrata di un cinghiale gli apparve come un trofeo esibito dal lupo al suo inseguitore. Si chinò rivoltando il collo flaccido dell'animale. Gli occhi sbarrati, atterriti, velati dalle ombre della morte che l'aveva colto all'improvviso. Posò le dita sui morsi implacabili al collo che l'avevano abbattuto in un pozza di sangue raffermo. Non una sola impronta delle zampe del lupo, come se ad operare fosse stata la furia omicida del fantasma di un chirurgo. Il cinghiale non aveva avuto tempo di lottare. Non aveva avuto scampo.
S'accampò un miglio più a valle, sul greto sabbioso del torrente al riparo di un tronco d'albero abbattuto. Chiuso nel sacco a pelo guardava il fuoco spegnersi accendendo una dopo l'altra le stelle come tanti occhi tremuli di donna. Quella notte lo sentì ululare lontano destandosi alla luce del quarto di Luna che saliva nel cielo. L'alba lo sorprese con una tenue luce purpurea striata di viola dopo una notte di visioni. Il carro arava il cielo disegnando un arco verso ovest trascinandosi dietro un sole pigro.
Lo chiamavano il Selvatico, proprio per queste sue frequentazioni notturne nei boschi, e quel modo spietato di guardare la gente con diffidenza.
Accese il fuoco nelle braci ancora tiepide e si fermò a sorseggiare un caffè amaro con lo sguardo velato dagli echi dei sogni. Si rinfrescò il viso nell'acqua fresca del torrente e vide le sue impronte sul terriccio umido. Il lupo gli aveva fatto una visita mentre dormiva. Silenzioso si era spinto oltre il limite che lui stesso immaginava. Le tracce arrivavano fino al suo giaciglio. Non ebbe paura. Per un istante gli sembrò di capire il motivo di quelle visioni che l'avevano assalito nel sonno. Socchiuse gli occhi alla brezza che gli carezzava il viso, posando le dita sulle orme lasciate sulla sabbia umida. Quelle visioni ancora gli attraversavano la mente come un lampo che accende nubi gravide di pioggia rimbalzando sui versanti della montagna.
In quelle visioni si muoveva nella boscaglia, guidato dall'olfatto e dall'istinto e guardava il mondo con gli occhi del lupo, annusando l'aria come fa un lupo.
Sentiva il sangue scorrere con la stessa forza di quella del lupo. Il cinghiale che arrivava dritto tra le sue fauci. Ricordò il momento dell'attacco, la forza del morso al collo dell'animale. Rabbrividì per un istante senza capire.

Per tutto il giorno camminò solo nella boscaglia. Il volo di un rapace si perdeva in cerchi concentrici alto nel cielo terso. Se il lupo era passato per il bosco, il bosco si era incaricato di nasconderne le tracce perché non ne trovò. Il sole filtrava basso dalle fronde dei rami come tante lame di luce incandescente. Lasciò il sentiero e si avviò lungo il crinale della collina senza una meta precisa.
Il sangue pulsava nelle vene al ritmo sordo di tamburo e fu allora che si ritrovò faccia faccia con il lupo. Era spuntato all'improvviso da dietro quell'unico albero solitario. Fermo sulle zampe lo guardava fisso con occhi vitrei. Il respiro dell'uomo si fermò di colpo. Il cuore in gola aveva già sconfitto lo scorrere del tempo.
Per nulla intimorito il lupo mosse un passo verso di lui e s'arrestò con il muso puntato verso il terreno. Aveva una macchia biancastra nell'incavo delle scapole, un ciuffo di peli arruffati su quel mantello nero sbiadito. Scartò di lato con una mossa repentina e deviò dalla parte opposta con uno scatto. Lo guardò trotterellare senza fretta verso la boscaglia. Deglutì a fatica. Le labbra seccate dalla brezza del vento. Si appoggiò con le spalle all'albero guardando nella stessa direzione dove il lupo era scomparso. Lo vide entrare nel sottobosco e sparire in un attimo, mimetizzato perfettamente dagli arbusti di agrifoglio. Il vento risuonava in sottofondo modulando il suo suono al grido intermittente di una coppia di gheppi che roteava sulla sua testa. Sollevò lo sguardo coprendosi la vista con una mano.
Quell'incontro così ravvicinato e improvviso, l'aveva colto di sorpresa. Incapace di reagire si era lasciato cogliere dalla paura proprio come gli succedeva da studente quando aspettava le ragazze all'uscita della scuola. Quando si invaghiva di qualcuna la seguiva di nascosto, convinto di non essere notato senza mai trovare il coraggio di fermarla fosse anche con una scusa banalissima. Finiva quasi sempre per trovarsela di fronte all'improvviso, sopraffatto dalla paura di un semplice saluto. Invidiava la spavalderia dei suoi compagni, la facilità con la quale catturavano l'interesse delle ragazze.
Seguì la coppia di rapaci lungo il declinare della collina che si perdeva nella valle sottostante. Fosse stata una mattinata tersa avrebbe potuto vedere in lontananza il profilo dei monti più alti. Il sole accarezzava il fitto delle fronde degli alberi con una carezza calda, ricoprendole di luce soffusa. Il bosco di faggi degradava fino alla fascia dei carpini e dei castagni. Inspirò a pieni polmoni sentendo il respiro tornare regolare, lento e si mosse verso il bosco.

Quella notte continuò a rigirarsi nel letto colto dall'insonnia. Nell'oscurità l'immagine degli occhi del lupo che lo fissavano non l'abbandonava. Si domandò cosa lo spingesse a voler avvicinare quel lupo?
Forse il desiderio di somigliargli, forse la fierezza con cui quel lupo si muoveva nel suo territorio, padrone del vento, della pioggia, degli odori che trasudavano dalla terra. Non trovava risposta a quella domanda che lo tormentava. Non era certo un interesse naturalistico il suo. Era piuttosto un richiamo di tutt'altra natura, che sconfinava nell'illogico e nella più totale mancanza di buon senso. O forse erano semplici suggestioni della sua mente che una sana dormita avrebbe rimesso nell'ordine naturale delle cose. E poi c'era la faccenda delle visioni. Non poteva essere un caso, non poteva essere una suggestione. Prese sonno verso l'alba e non fu un sonno tranquillo.
Dalla boscaglia gli alberi apparivano come fantasmi emergendo dalla immobile foschia, vigili sentinelle a guardia dei sentieri del lupo. Un ululato lacerò il silenzio che nel sonno lo avvolgeva. Attratto da quel richiamo notturno si ritrovò a percorre i sentieri del lupo. In quel sogno, il lupo, gli aveva aperto le porte del suo territorio. Le sue orme lo precedevano. Erano dappertutto. Sentiva forte l'odore della terra, gravido di umido. Il tepore del tappeto di foglie sul quale camminava odorava dell'odore del lupo.
Lo vide fermo in attesa, in equilibrio su un tronco abbattuto che sbarrava il sentiero. Quando si mosse, lo fece con la rapidità di un fulmine e temette di perderlo. Nel sogno seguiva il lupo dove il lupo voleva che lo seguisse.
Una femmina si aggirava solitaria nella radura. Il lupo le si avventò contro di petto. Lei ringhiò in un vano tentativo di resistere. Scartò di lato e rotolò su un fianco annusando il suo odore e fu subito sua, senza possibilità di scampo, arresa incondizionata al desiderio del lupo.
Era come una danza quella che vide quella notte. Dissimulata nella foschia e dagli alberi vide il lupo mostrare i denti alla luna, affondando la sua presa forte e delicata al collo della sua femmina. Era una lotta spietata e dolce, violenta e delicata, con un unico vincitore.
Per alcune settimane il lupo non si fece vedere. Non era la prima volta che accadeva. Pur senza ammetterlo l'uomo soffriva di questa mancanza. Il bosco era come svuotato della sua intima essenza. Le colline, orfane delle sue impronte. Si chiedeva dove andasse, o fino a dove poteva spaziare il territorio di un lupo, o se invece non fosse un gioco intrapreso dal lupo per schernirlo. Nascondersi alla sua vista con la complicità degli alberi, del bosco, del vento. Del lupo nessuna traccia, nessun segno tangibile della sua presenza sul terreno.

Quella mattina il vento gli aveva portato l'odore della pioggia. Aveva disertato il lavoro con la più banale delle scuse. S'avviò per il sentiero che portava alla collina dove il lupo era uscito allo scoperto per la prima volta. Un cielo gravido di pioggia stringeva d'assedio il paesaggio. Il vento agitava il verde dei faggi, spezzato dalle macchie biancastre dei ciliegi selvatici. La macchia più scura dei carpini tagliata dalla forra del torrente che si snodava come un serpente argenteo sul quel manto verde. Scese verso il bosco accompagnato dalle prime gocce di pioggia. Raggiunse il limitare del bosco al margine della radura che ammantava la collina. Un cervo guardava nella sua direzione, fermo sulle zampe, le orecchie tese che si muovevano nervosamente. Il palco di corna raccontava della sua giovane età. Gli occhi neri e profondi nascondevano un misto di indifferenza e timore. L'uomo si fermò, posando un piede su un ramo spezzato che cedette con un rumore secco. L'odore delle foglie saliva caldo dal terreno. Lo sentiva, il lupo era tornato.
Il cervo deviò di lato con un balzo e scomparve nella boscaglia. L'uomo si voltò. Alle sue spalle il lupo era apparso silenzioso. Poco più indietro la sua femmina chinava il muso verso il terreno.
Colto di sorpresa il cuore era già in tumulto. Lo sentiva pulsare con un rantolo sordo nel profondo delle vene. Detestava essere colto alla sprovvista. Era una cosa che non sopportava nemmeno da bambino. Le sorprese lo infastidivano provocandogli uno stato d'ansia che finiva per sfogare in una lunga corsa a perdifiato per le vie del piccolo paesino dove era cresciuto. Ora da uomo adulto non era diverso. L'unica differenza era che in quel preciso istante i muscoli delle gambe sembravano di marmo, buoni solo a reggerlo in piedi. Se avesse tentato di muovere un passo, sarebbe crollato come una statua di un tiranno abbattuto. Il sudore gli imperlava la fronte ampia e abbronzata dal sole, scivolando in un rivolo sulla tempia.
Fu la femmina a muoversi per prima deviando verso la boscaglia. Di fianco al suo lupo sembrava più piccola della metà. Il mantello grigiastro sporcato di marrone sui fianchi che diventava biancastro in una fascia sottile appena al di sotto dell'addome. Il lupo lo fissò ancora un istante prima di seguirla con un balzo.
Si chiese da quanto tempo lo stessero seguendo. Per quanto tempo erano rimasti alle sue spalle mentre osservava il cervo. Ebbe perfino la sensazione che i lupi si fossero fatti scudo del suo odore per avvicinarsi alla preda.
Un silenzio sordo e ostile inghiottì il bosco sotto il primo scroscio di pioggia.
Piovve per tutto il giorno e per tutta la notte. Nel silenzio della sua stanza, l'uomo ascoltava l'insistente tamburellare della pioggia sul tetto. La sentiva addosso, pungente e fredda lacerargli il respiro. Socchiuse gli occhi cercando ristoro nel sonno. Un lampo bucò l'oscurità delle palpebre socchiuse seguito dal brontolio di un tuono che rimbalzava nella valle. Inspirò l'odore della pioggia. Negli occhi socchiusi le sagome degli alberi presero forma come viandanti nella notte in cerca di riparo. Il terreno percorso da rivoli di pioggia. Il lupo che traversò il sentiero sbucando da un cespuglio. Si ritrovò nel dormiveglia a seguire di nuovo le sue orme frettolose e sapeva dove l'avrebbe condotto. E così fu. Intrappolato in un tempo senza tempo seguiva i sentieri del lupo sotto la pioggia in quella notte buia. Era come se il lupo fosse entrato in lui, o viceversa. Era suo il respiro, sua la forza dei muscoli delle zampe. Suo il battito lento del cuore. L'odore del cervo era una scia luminosa che gli appariva come una traccia scritta sui sentieri del bosco. Riusciva perfino ad avvertire il terrore nei passi incauti dell'animale, braccato, disorientato dalla pioggia e dalla presenza della femmina del lupo. Provò compassione per lui, per il sacrificio al quale era condannato. Sentì cadere il rumore della pioggia fino a cessare quasi di colpo. Il gocciolio delle fronde si spegneva sordo sul tappeto di foglie secolari. Uno spicchio di luna si fece largo tra le nuvole quasi fosse un segnale convenuto. Di colpo il lieve sommesso mugghio del cervo si infranse nei suoi occhi sbarrati dal terrore. Lo vide a terra riverso su un fianco, le zampe rigide e tese. Le zanne del lupo affondavano feroci nel collo dell'animale. Il suo rantolo, l'ultimo ancora pieno di vita prima che il velo della morte spegnesse i suoi occhi. L'esaltazione del lupo che non s'arrendeva al trionfo, dilaniando il collo del cervo con l'odore del sangue nelle narici. La femmina eccitata attendeva il suo turno mordendo nervosamente la zampa della preda.
Era tutto così reale. Eppure sapeva che si trattava solo di una visione, una delle tante che ormai da tempo l'assalivano. Erano iniziate più o meno un anno prima, appena all'inizio della primavera, quando aveva trovato le impronte del lupo la prima volta sul limo del torrente. Si era chinato sfiorandole con le dita, tanto erano nitide e precise, convincendosi che fossero quelle di un cane di grossa taglia. I resti dilaniati di una pecora lo convinsero che si trattava di un lupo. Un lupo solitario. Forse lo ammirava proprio per questo. Era un solitario come lui, poco incline alle regole del branco, schivo e diffidente. Ma tutto questo non bastava a giustificare quelle visioni.

Rivide il lupo all'inizio dell'estate. Un vento asciutto spirava lieve scivolando giù dalle colline ammantate di un verde ancora intenso. Lo vide sopra un grosso tronco tagliato di un castagno secolare. Seduto sulle zampe posteriori che guardava fisso davanti a sé. Tutto intorno i faggi abbracciavano in cerchio il ceppo su cui era seduto il lupo, come fosse il trono di un re circondato da vigili guardiani. Sembrava lo stesse attendendo. Lo fissò negli occhi vitrei e senza espressione. Il corpo fermo e rilassato dell'animale. L'uomo mosse un passo convinto che quella sarebbe stata la volta buona.
Il lupo scattò sulle quattro zampe. Tese il collo in avanti e ringhiò mostrando le zanne. L'uomo si arrestò di colpo ma non per paura. Un senso di rispetto lo indusse a fermarsi. Capì che quel posto doveva avere un qualche significato nella testa del lupo. Un guaito sommesso e soffocato spezzò il silenzio che era seguito. L'uomo voltò il capo in quella direzione, il lupo pure.
L'uomo sorrise e fece un passo indietro e si allontanò per il bosco.

Quella mattina si svegliò inquieto. La fronte imperlata di sudore all'alba di quel giorno che si preannunciava torrido. La notte era stata agitata, ma questo non lo preoccupava. Fin da piccolo non era mai stato il tipo di bambino che faceva sogni tranquilli. La notte e il giorno per lui erano due cose che spesso si cambiavano di posizione, creandogli non pochi problemi in famiglia, a scuola, e anche sul posto di lavoro da adulto. Si era convinto che il problema dovesse essere lui e non lo scorrere del tempo organizzato in giorni, mesi e anni.
Non riusciva a ricordare quell'ultima devastante visione che l'aveva svegliato lasciandogli in petto quell'insolita agitazione. Per tutto il giorno rimase con quella sensazione addosso. Finì di sbrigare le commesse di lavoro prima possibile. Sapeva che doveva andare nel bosco. Il lupo lo stava chiamando, lo sentiva. Chiese il permesso di assentarsi un'ora prima del termine della giornata, imprecando sui binari del treno per il ritardo che era stato annunciato. Dieci minuti. In altre occasioni non aveva battuto ciglio anche con ritardi più consistenti. Invece quella volta era smanioso di rientrare.
Rimase impietrito con lo sguardo fisso fuori dal finestrino quando vide la foto del lupo nelle pagine interne del giornale.
Aveva la lingua a penzoloni fuori dalla bocca, disteso a terra con lo sguardo vitreo della morte. Una zampa posteriore stretta nella tagliola, il pelo ormai privo della sua lucentezza. Il titolo recitava la sua morte come una liberazione, con tanto di complimenti delle autorità e soddisfazione degli allevatori locali che avevano visto nel lupo una minaccia alle loro greggi.
Ci vollero tre giorni interi prima di riuscire a trovare il modo di avere il corpo del lupo. Arrivò perfino a corrompere una guardia forestale pur di raggiungere il suo scopo.
Caricò il cadavere del lupo chiuso in una cerata nera sul pick-up e si avviò. Sapeva dove seppellirlo. Se lo mise in spalla e percorse il crinale di quella collina dove l'aveva visto per la prima volta. L'albero solitario attendeva come unico celebrante di quella triste funzione di morte.
Scavò una buca abbastanza profonda adagiandovi il corpo del lupo rivolto verso il suo bosco. Un nibbio roteava alto in cerchi concentrici sempre più stretti lanciando grida intermittenti. Il vento soffiava leggere raffiche sorde.
Si rialzò spazzandosi le ginocchia con le mani, premendo con il pollice e l'indice sugli occhi stropicciando via la commozione.
Si diresse verso boscaglia camminando spedito fino a quel tronco dove l'aveva visto per l'ultima volta. Era certo che i guaiti di quel giorno dovevano essere la sua cucciolata. Per questo gli aveva ringhiato contro. Accelerò il passo fermandosi in affanno a sedersi su quel trono ormai privo del suo re.
Il sole tagliava l'ombra con lame di luce nelle quali nuvole di moscerini entravano e uscivano come da un tendone da circo. L'aria sapeva ancora di morte. Inquieto l'uomo cominciò a perlustrare la zona girando in cerchi sempre più ampi. Trovò impronte che non erano le sue, orme di stivali che non gli appartenevano. Il bosco sembrava violato da tutte quelle tracce. Seguì la pista che risaliva appena sul pendio e inorridì per una seconda volta. Una nuvola di mosconi ronzava attorno ai corpi di due cuccioli. La femmina di lupo giaceva un paio di passi più in là. La schiena curva come se dormisse, il collo riverso e piegato sulle zampe. Veleno, pensò poggiando un ginocchio a terra, accarezzando il pelo della femmina di lupo. Si asciugò la fronte imperlata di sudore con il dorso della mano, poi prese la vanga e si mise a scavare una buca.
Scavò con rabbia, e con rabbia ricompose i resti della famiglia di lupi nella buca, piangendo lacrime di rancore verso il mondo mentre ricopriva di terra la buca. Radunò con le mani le foglie di faggio e tornò a ricomporre lo strato rossiccio in modo uniforme. Restò in ginocchio con le mani posate sulle gambe, gli occhi socchiusi in silenziosa preghiera.
Fu allora che lo udì. Piccolo, sommesso, quasi un singhiozzo. Pensò che fosse la sua immaginazione e stette ad ascoltare ancora in silenzio. Lo sentì di nuovo e tese l'orecchio cercando di capire da dove venisse.
Non fu facile convincerlo a uscire dalla tana. Spaventato e affamato l'unico superstite della cucciolata era rimasto all'interno della tana scavata proprio sotto il tronco d'albero tagliato. L'ingresso mimetizzato da rocce di granito biancastro e dalle foglie dei faggi. Aveva il mantello nero. Gli occhi grigiastri e lucidi tipici dei cuccioli, una zampa macchiata di bianco. Lo stesso ciuffo di peli biancastro nell'incavo delle spalle, proprio come il padre. Lo prese per la collottola e lo infilò sotto la camicia lasciandolo giocherellare con un dito della mano. Poi si avviò per il sentiero uscendo nella calda luce del tramonto, su un cielo spezzato da nuvole violacee con le ombre della notte che già allungavano le loro dita sul mondo. 




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