Camminava sul crinale della collina, la testa che ciondolava bassa
fra le spalle. Il vento invece gli camminava contro, sollevando
piccoli sbuffi di terra dalle zampe, arruffandogli il pelo come erba
nel prato. Era un lupo solitario.
L'uomo
ne seguiva le tracce da molto tempo. Sapeva della sua presenza dalle
orme che incrociavano i suoi passi in giro per la montagna. Non si
erano mai incontrati e nessuno poteva stabilire chi dei due
osservasse l'altro, se l'uomo o il lupo. Era la prima volta che
usciva così allo scoperto. La sua sagoma si stagliava netta sopra il
profilo dolce della collina, che scivolava verso le altre in quel
paesaggio deserto. Camminava verso un albero che si ergeva come un
paladino a sfidare il vento, unico erede di un'antica foresta.
L'uomo
era disteso supino, i gomiti poggiati al terreno. Si teneva sotto
vento e lo osservava. “Strano”
pensò l'uomo. Allungò un mano verso la sacca e prese il binocolo.
Vedeva distintamente le zampe dell'animale lasciare le orme nel
terriccio brullo, sollevando la polvere come trotterellasse su nuvole
di lava. “Lo sta
facendo apposta –
mormorò – nessun lupo
uscirebbe in campo aperto a quel modo. Troppo rischioso.”
Restò a lungo ad osservarlo.
Da
tempo le visioni dell'uomo erano quelle del lupo. E nessuno poteva
sapere se quelle del lupo non fossero le stesse dell'uomo.
Da
quando aveva incrociato le sue orme la prima volta, il suo sonno era
diventato inquieto. La sua mente popolata da continue visioni di un
antico vagare.
Il
lupo aveva fiutato l'odore del sangue. Poteva sentire l'odore di una
preda a miglia di distanza. La vedeva davanti a sé, pur senza
averla mai vista. Sapeva dove trovarla. Sapeva dove aspettarla e
sapeva infallibilmente quali sentieri avrebbe percorso. Sapeva
esattamente dove avrebbe teso l'agguato. Inconsapevole, la preda
qualunque essa fosse, camminava ignara verso il suo destino recitando
il copione che il lupo aveva previsto. O forse aveva soltanto avuto
una visione. Forse per questo camminava spedito.
Forse
per questo anche l'idea di attraversare un territorio così scoperto
non lo preoccupava. O forse voleva solo vedere se quell'uomo che lo
seguiva con tanta insistenza era altrettanto capace di mostrarsi,
sfidare la propria inquietudine, il fastidio causato da quella
presenza.
Nessuno
come un lupo è capace di interpretare gli odori del vento. Nessuno
come un lupo diffida dell'essere umano, quasi fosse il suo demone.
Annusò l'aria sollevando appena il capo. C'era qualcosa in più.
Fermo sulle zampe allargò le narici. Restò in attesa della
conferma. Poi si dileguò nel bosco. Sentiva l'uomo. L'aveva visto
nelle sue visioni. Sapeva che non era una preda, e la cosa lo
disturbava.
Allora
il lupo cammina spedito. Prende la sua decisione e lancia la sfida.
Si lascia guardare. "Sono
qui... mi vedi?” pensa
il lupo.
L'uomo
si rialzò, spazzandosi le ginocchia con una mano. Mise al collo il
binocolo e scese il pendio affondando i passi nel terriccio friabile
costellato qua e là da macchie di arbusti di corniolo.
Si
rifugiava fra quelle colline quando il peso dei giorni gli diventava
insopportabile. Ripercorreva sentieri che gli erano cari nella sua
adolescenza, quando d'estate batteva palmo a palmo le colline
ammantate di un verde ancora intenso alla ricerca dei ciliegi
selvatici in mezzo a quei boschi di faggi secolari. O quando si
divertiva a seguire le tracce dei cervi nascosti nel fitto della
boscaglia. Era un buon sistema per placare la sua inquietudine.
Camminò nella stessa direzione del lupo. La sua sagoma scarna si
stagliava come un'ombra estranea a quel paesaggio. Il lupo si fermò
sotto l'albero solitario, annusò il terreno girandogli attorno, poi
marcò il territorio e proseguì e riprese a scendere la collina
brulla. Il vento gli aveva portato l'odore di una femmina di lupo,
come un soffio caldo di un vulcano che pompa lava nelle vene del
lupo.
“Non
mi scappi... stavolta non mi scappi”
disse l'uomo. Lo vide entrare nella boscaglia, puntando le zampe sul
pendio del terreno. Affrettò il passo sentendo il peso degli anni
affondare nei muscoli. Gli occorsero una decina di minuti per
arrivare al limitare del bosco ma del lupo nessuna traccia. Ansimante
si fermò con il palmo della mano poggiato alla corteccia di un
grosso carpino. Il vento sussurrava lieve fra le foglie carezzando il
silenzio con la leggerezza di un battito d'ali di un colibrì. Era
vicino, lo sentiva. Era il silenzio che accompagna i passi del lupo.
Ormai aveva imparato a riconoscerlo. Sentiva che studiava le sue
mosse. Posò un ginocchio a terra, spazzando le foglie del terreno
con una mano. Aprì la sacca e prese il pezzo di carne avvolto nella
carta. Sistemò il fegato di un agnello sulle foglie e si asciugò le
mani sfregandole nel terriccio. Si allontanò, sicuro che il lupo non
avrebbe resistito all'odore del sangue.
Tornò
il giorno seguente. Del lupo nessuna traccia. La carne infestata dai
mosconi che ronzavano nella luce del tramonto, tranne le orme di
qualche uccello non c'erano impronte di lupo.
Guardò
quel resto di carne putrescente con una smorfia, sistemandosi lo
zaino sulla spalla. Un ciuffetto di peli scuro era rimasto aggrappato
alla base della corteccia dell'albero vicino. Sembrava una traccia
lasciata di proposito dal lupo, l'unica palesemente visibile. Si
chinò e lo prese fra le dita, annusandolo prima di disperderlo nella
brezza che spirava. Il cielo era un braciere infuocato nel quale rade
nuvole scure dalla consistenza del carbone finivano per spegnersi
sotto le ombre della notte che avanzava. Proseguì fino al torrente
che sentiva scorrere a valle.
Uscì
allo scoperto nei pressi di un gruppo di rocce lisce erose dal tempo
e dalle piene del ruscello, circondate da un morbido tappeto di
licheni. La carcassa sventrata di un cinghiale gli apparve come un
trofeo esibito dal lupo al suo inseguitore. Si chinò rivoltando il
collo flaccido dell'animale. Gli occhi sbarrati, atterriti, velati
dalle ombre della morte che l'aveva colto all'improvviso. Posò le
dita sui morsi implacabili al collo che l'avevano abbattuto in un
pozza di sangue raffermo. Non una sola impronta delle zampe del lupo,
come se ad operare fosse stata la furia omicida del fantasma di un
chirurgo. Il cinghiale non aveva avuto tempo di lottare. Non aveva
avuto scampo.
S'accampò
un miglio più a valle, sul greto sabbioso del torrente al riparo di
un tronco d'albero abbattuto. Chiuso nel sacco a pelo guardava il
fuoco spegnersi accendendo una dopo l'altra le stelle come tanti
occhi tremuli di donna. Quella notte lo sentì ululare lontano
destandosi alla luce del quarto di Luna che saliva nel cielo. L'alba
lo sorprese con una tenue luce purpurea striata di viola dopo una
notte di visioni. Il carro arava il cielo disegnando un arco verso
ovest trascinandosi dietro un sole pigro.
Lo
chiamavano il Selvatico, proprio per queste sue frequentazioni
notturne nei boschi, e quel modo spietato di guardare la gente con
diffidenza.
Accese
il fuoco nelle braci ancora tiepide e si fermò a sorseggiare un
caffè amaro con lo sguardo velato dagli echi dei sogni. Si rinfrescò
il viso nell'acqua fresca del torrente e vide le sue impronte sul
terriccio umido. Il lupo gli aveva fatto una visita mentre dormiva.
Silenzioso si era spinto oltre il limite che lui stesso immaginava.
Le tracce arrivavano fino al suo giaciglio. Non ebbe paura. Per un
istante gli sembrò di capire il motivo di quelle visioni che
l'avevano assalito nel sonno. Socchiuse gli occhi alla brezza che gli
carezzava il viso, posando le dita sulle orme lasciate sulla sabbia
umida. Quelle visioni ancora gli attraversavano la mente come un
lampo che accende nubi gravide di pioggia rimbalzando sui versanti
della montagna.
In
quelle visioni si muoveva nella boscaglia, guidato dall'olfatto e
dall'istinto e guardava il mondo con gli occhi del lupo, annusando
l'aria come fa un lupo.
Sentiva
il sangue scorrere con la stessa forza di quella del lupo. Il
cinghiale che arrivava dritto tra le sue fauci. Ricordò il momento
dell'attacco, la forza del morso al collo dell'animale. Rabbrividì
per un istante senza capire.
Per
tutto il giorno camminò solo nella boscaglia. Il volo di un rapace
si perdeva in cerchi concentrici alto nel cielo terso. Se il lupo era
passato per il bosco, il bosco si era incaricato di nasconderne le
tracce perché non ne trovò. Il sole filtrava basso dalle fronde dei
rami come tante lame di luce incandescente. Lasciò il sentiero e si
avviò lungo il crinale della collina senza una meta precisa.
Il
sangue pulsava nelle vene al ritmo sordo di tamburo e fu allora che
si ritrovò faccia faccia con il lupo. Era spuntato all'improvviso da
dietro quell'unico albero solitario. Fermo sulle zampe lo guardava
fisso con occhi vitrei. Il respiro dell'uomo si fermò di colpo. Il
cuore in gola aveva già sconfitto lo scorrere del tempo.
Per
nulla intimorito il lupo mosse un passo verso di lui e s'arrestò con
il muso puntato verso il terreno. Aveva una macchia biancastra
nell'incavo delle scapole, un ciuffo di peli arruffati su quel
mantello nero sbiadito. Scartò di lato con una mossa repentina e
deviò dalla parte opposta con uno scatto. Lo guardò trotterellare
senza fretta verso la boscaglia. Deglutì a fatica. Le labbra seccate
dalla brezza del vento. Si appoggiò con le spalle all'albero
guardando nella stessa direzione dove il lupo era scomparso. Lo vide
entrare nel sottobosco e sparire in un attimo, mimetizzato
perfettamente dagli arbusti di agrifoglio. Il vento risuonava in
sottofondo modulando il suo suono al grido intermittente di una
coppia di gheppi che roteava sulla sua testa. Sollevò lo sguardo
coprendosi la vista con una mano.
Quell'incontro
così ravvicinato e improvviso, l'aveva colto di sorpresa. Incapace
di reagire si era lasciato cogliere dalla paura proprio come gli
succedeva da studente quando aspettava le ragazze all'uscita della
scuola. Quando si invaghiva di qualcuna la seguiva di nascosto,
convinto di non essere notato senza mai trovare il coraggio di
fermarla fosse anche con una scusa banalissima. Finiva quasi sempre
per trovarsela di fronte all'improvviso, sopraffatto dalla paura di
un semplice saluto. Invidiava la spavalderia dei suoi compagni, la
facilità con la quale catturavano l'interesse delle ragazze.
Seguì
la coppia di rapaci lungo il declinare della collina che si perdeva
nella valle sottostante. Fosse stata una mattinata tersa avrebbe
potuto vedere in lontananza il profilo dei monti più alti. Il sole
accarezzava il fitto delle fronde degli alberi con una carezza calda,
ricoprendole di luce soffusa. Il bosco di faggi degradava fino alla
fascia dei carpini e dei castagni. Inspirò a pieni polmoni sentendo
il respiro tornare regolare, lento e si mosse verso il bosco.
Quella
notte continuò a rigirarsi nel letto colto dall'insonnia.
Nell'oscurità l'immagine degli occhi del lupo che lo fissavano non
l'abbandonava. Si domandò cosa lo spingesse a voler avvicinare quel
lupo?
Forse
il desiderio di somigliargli, forse la fierezza con cui quel lupo si
muoveva nel suo territorio, padrone del vento, della pioggia, degli
odori che trasudavano dalla terra. Non trovava risposta a quella
domanda che lo tormentava. Non era certo un interesse naturalistico
il suo. Era piuttosto un richiamo di tutt'altra natura, che
sconfinava nell'illogico e nella più totale mancanza di buon senso.
O forse erano semplici suggestioni della sua mente che una sana
dormita avrebbe rimesso nell'ordine naturale delle cose. E poi c'era
la faccenda delle visioni. Non poteva essere un caso, non poteva
essere una suggestione. Prese sonno verso l'alba e non fu un sonno
tranquillo.
Dalla
boscaglia gli alberi apparivano come fantasmi emergendo dalla
immobile foschia, vigili sentinelle a guardia dei sentieri del lupo.
Un ululato lacerò il silenzio che nel sonno lo avvolgeva. Attratto
da quel richiamo notturno si ritrovò a percorre i sentieri del lupo.
In quel sogno, il lupo, gli aveva aperto le porte del suo territorio.
Le sue orme lo precedevano. Erano dappertutto. Sentiva forte l'odore
della terra, gravido di umido. Il tepore del tappeto di foglie sul
quale camminava odorava dell'odore del lupo.
Lo
vide fermo in attesa, in equilibrio su un tronco abbattuto che
sbarrava il sentiero. Quando si mosse, lo fece con la rapidità di un
fulmine e temette di perderlo. Nel sogno seguiva il lupo dove il lupo
voleva che lo seguisse.
Una
femmina si aggirava solitaria nella radura. Il lupo le si avventò
contro di petto. Lei ringhiò in un vano tentativo di resistere.
Scartò di lato e rotolò su un fianco annusando il suo odore e fu
subito sua, senza possibilità di scampo, arresa incondizionata al
desiderio del lupo.
Era
come una danza quella che vide quella notte. Dissimulata nella
foschia e dagli alberi vide il lupo mostrare i denti alla luna,
affondando la sua presa forte e delicata al collo della sua femmina.
Era una lotta spietata e dolce, violenta e delicata, con un unico
vincitore.
Per
alcune settimane il lupo non si fece vedere. Non era la prima volta
che accadeva. Pur senza ammetterlo l'uomo soffriva di questa
mancanza. Il bosco era come svuotato della sua intima essenza. Le
colline, orfane delle sue impronte. Si chiedeva dove andasse, o fino
a dove poteva spaziare il territorio di un lupo, o se invece non
fosse un gioco intrapreso dal lupo per schernirlo. Nascondersi alla
sua vista con la complicità degli alberi, del bosco, del vento. Del
lupo nessuna traccia, nessun segno tangibile della sua presenza sul
terreno.
Quella
mattina il vento gli aveva portato l'odore della pioggia. Aveva
disertato il lavoro con la più banale delle scuse. S'avviò per il
sentiero che portava alla collina dove il lupo era uscito allo
scoperto per la prima volta. Un cielo gravido di pioggia stringeva
d'assedio il paesaggio. Il vento agitava il verde dei faggi, spezzato
dalle macchie biancastre dei ciliegi selvatici. La macchia più scura
dei carpini tagliata dalla forra del torrente che si snodava come un
serpente argenteo sul quel manto verde. Scese verso il bosco
accompagnato dalle prime gocce di pioggia. Raggiunse il limitare del
bosco al margine della radura che ammantava la collina. Un cervo
guardava nella sua direzione, fermo sulle zampe, le orecchie tese che
si muovevano nervosamente. Il palco di corna raccontava della sua
giovane età. Gli occhi neri e profondi nascondevano un misto di
indifferenza e timore. L'uomo si fermò, posando un piede su un ramo
spezzato che cedette con un rumore secco. L'odore delle foglie saliva
caldo dal terreno. Lo sentiva, il lupo era tornato.
Il
cervo deviò di lato con un balzo e scomparve nella boscaglia. L'uomo
si voltò. Alle sue spalle il lupo era apparso silenzioso. Poco più
indietro la sua femmina chinava il muso verso il terreno.
Colto
di sorpresa il cuore era già in tumulto. Lo sentiva pulsare con un
rantolo sordo nel profondo delle vene. Detestava essere colto alla
sprovvista. Era una cosa che non sopportava nemmeno da bambino. Le
sorprese lo infastidivano provocandogli uno stato d'ansia che finiva
per sfogare in una lunga corsa a perdifiato per le vie del piccolo
paesino dove era cresciuto. Ora da uomo adulto non era diverso.
L'unica differenza era che in quel preciso istante i muscoli delle
gambe sembravano di marmo, buoni solo a reggerlo in piedi. Se avesse
tentato di muovere un passo, sarebbe crollato come una statua di un
tiranno abbattuto. Il sudore gli imperlava la fronte ampia e
abbronzata dal sole, scivolando in un rivolo sulla tempia.
Fu
la femmina a muoversi per prima deviando verso la boscaglia. Di
fianco al suo lupo sembrava più piccola della metà. Il mantello
grigiastro sporcato di marrone sui fianchi che diventava biancastro
in una fascia sottile appena al di sotto dell'addome. Il lupo lo
fissò ancora un istante prima di seguirla con un balzo.
Si
chiese da quanto tempo lo stessero seguendo. Per quanto tempo erano
rimasti alle sue spalle mentre osservava il cervo. Ebbe perfino la
sensazione che i lupi si fossero fatti scudo del suo odore per
avvicinarsi alla preda.
Un
silenzio sordo e ostile inghiottì il bosco sotto il primo scroscio
di pioggia.
Piovve
per tutto il giorno e per tutta la notte. Nel silenzio della sua
stanza, l'uomo ascoltava l'insistente tamburellare della pioggia sul
tetto. La sentiva addosso, pungente e fredda lacerargli il respiro.
Socchiuse gli occhi cercando ristoro nel sonno. Un lampo bucò
l'oscurità delle palpebre socchiuse seguito dal brontolio di un
tuono che rimbalzava nella valle. Inspirò l'odore della pioggia.
Negli occhi socchiusi le sagome degli alberi presero forma come
viandanti nella notte in cerca di riparo. Il terreno percorso da
rivoli di pioggia. Il lupo che traversò il sentiero sbucando da un
cespuglio. Si ritrovò nel dormiveglia a seguire di nuovo le sue orme
frettolose e sapeva dove l'avrebbe condotto. E così fu. Intrappolato
in un tempo senza tempo seguiva i sentieri del lupo sotto la pioggia
in quella notte buia. Era come se il lupo fosse entrato in lui, o
viceversa. Era suo il respiro, sua la forza dei muscoli delle zampe.
Suo il battito lento del cuore. L'odore del cervo era una scia
luminosa che gli appariva come una traccia scritta sui sentieri del
bosco. Riusciva perfino ad avvertire il terrore nei passi incauti
dell'animale, braccato, disorientato dalla pioggia e dalla presenza
della femmina del lupo. Provò compassione per lui, per il sacrificio
al quale era condannato. Sentì cadere il rumore della pioggia fino a
cessare quasi di colpo. Il gocciolio delle fronde si spegneva sordo
sul tappeto di foglie secolari. Uno spicchio di luna si fece largo
tra le nuvole quasi fosse un segnale convenuto. Di colpo il lieve
sommesso mugghio del cervo si infranse nei suoi occhi sbarrati dal
terrore. Lo vide a terra riverso su un fianco, le zampe rigide e
tese. Le zanne del lupo affondavano feroci nel collo dell'animale. Il
suo rantolo, l'ultimo ancora pieno di vita prima che il velo della
morte spegnesse i suoi occhi. L'esaltazione del lupo che non
s'arrendeva al trionfo, dilaniando il collo del cervo con l'odore del
sangue nelle narici. La femmina eccitata attendeva il suo turno
mordendo nervosamente la zampa della preda.
Era
tutto così reale. Eppure sapeva che si trattava solo di una visione,
una delle tante che ormai da tempo l'assalivano. Erano iniziate più
o meno un anno prima, appena all'inizio della primavera, quando aveva
trovato le impronte del lupo la prima volta sul limo del torrente. Si
era chinato sfiorandole con le dita, tanto erano nitide e precise,
convincendosi che fossero quelle di un cane di grossa taglia. I resti
dilaniati di una pecora lo convinsero che si trattava di un lupo. Un
lupo solitario. Forse lo ammirava proprio per questo. Era un
solitario come lui, poco incline alle regole del branco, schivo e
diffidente. Ma tutto questo non bastava a giustificare quelle
visioni.
Rivide
il lupo all'inizio dell'estate. Un vento asciutto spirava lieve
scivolando giù dalle colline ammantate di un verde ancora intenso.
Lo vide sopra un grosso tronco tagliato di un castagno secolare.
Seduto sulle zampe posteriori che guardava fisso davanti a sé. Tutto
intorno i faggi abbracciavano in cerchio il ceppo su cui era seduto
il lupo, come fosse il trono di un re circondato da vigili guardiani.
Sembrava lo stesse attendendo. Lo fissò negli occhi vitrei e senza
espressione. Il corpo fermo e rilassato dell'animale. L'uomo mosse un
passo convinto che quella sarebbe stata la volta buona.
Il
lupo scattò sulle quattro zampe. Tese il collo in avanti e ringhiò
mostrando le zanne. L'uomo si arrestò di colpo ma non per paura. Un
senso di rispetto lo indusse a fermarsi. Capì che quel posto doveva
avere un qualche significato nella testa del lupo. Un guaito sommesso
e soffocato spezzò il silenzio che era seguito. L'uomo voltò il
capo in quella direzione, il lupo pure.
L'uomo
sorrise e fece un passo indietro e si allontanò per il bosco.
Quella
mattina si svegliò inquieto. La fronte imperlata di sudore all'alba
di quel giorno che si preannunciava torrido. La notte era stata
agitata, ma questo non lo preoccupava. Fin da piccolo non era mai
stato il tipo di bambino che faceva sogni tranquilli. La notte e il
giorno per lui erano due cose che spesso si cambiavano di posizione,
creandogli non pochi problemi in famiglia, a scuola, e anche sul
posto di lavoro da adulto. Si era convinto che il problema dovesse
essere lui e non lo scorrere del tempo organizzato in giorni, mesi e
anni.
Non
riusciva a ricordare quell'ultima devastante visione che l'aveva
svegliato lasciandogli in petto quell'insolita agitazione. Per tutto
il giorno rimase con quella sensazione addosso. Finì di sbrigare le
commesse di lavoro prima possibile. Sapeva che doveva andare nel
bosco. Il lupo lo stava chiamando, lo sentiva. Chiese il permesso di
assentarsi un'ora prima del termine della giornata, imprecando sui
binari del treno per il ritardo che era stato annunciato. Dieci
minuti. In altre occasioni non aveva battuto ciglio anche con ritardi
più consistenti. Invece quella volta era smanioso di rientrare.
Rimase
impietrito con lo sguardo fisso fuori dal finestrino quando vide la
foto del lupo nelle pagine interne del giornale.
Aveva
la lingua a penzoloni fuori dalla bocca, disteso a terra con lo
sguardo vitreo della morte. Una zampa posteriore stretta nella
tagliola, il pelo ormai privo della sua lucentezza. Il titolo
recitava la sua morte come una liberazione, con tanto di complimenti
delle autorità e soddisfazione degli allevatori locali che avevano
visto nel lupo una minaccia alle loro greggi.
Ci
vollero tre giorni interi prima di riuscire a trovare il modo di
avere il corpo del lupo. Arrivò perfino a corrompere una guardia
forestale pur di raggiungere il suo scopo.
Caricò
il cadavere del lupo chiuso in una cerata nera sul pick-up e si
avviò. Sapeva dove seppellirlo. Se lo mise in spalla e percorse il
crinale di quella collina dove l'aveva visto per la prima volta.
L'albero solitario attendeva come unico celebrante di quella triste
funzione di morte.
Scavò
una buca abbastanza profonda adagiandovi il corpo del lupo rivolto
verso il suo bosco. Un nibbio roteava alto in cerchi concentrici
sempre più stretti lanciando grida intermittenti. Il vento soffiava
leggere raffiche sorde.
Si
rialzò spazzandosi le ginocchia con le mani, premendo con il pollice
e l'indice sugli occhi stropicciando via la commozione.
Si
diresse verso boscaglia camminando spedito fino a quel tronco dove
l'aveva visto per l'ultima volta. Era certo che i guaiti di quel
giorno dovevano essere la sua cucciolata. Per questo gli aveva
ringhiato contro. Accelerò il passo fermandosi in affanno a sedersi
su quel trono ormai privo del suo re.
Il
sole tagliava l'ombra con lame di luce nelle quali nuvole di
moscerini entravano e uscivano come da un tendone da circo. L'aria
sapeva ancora di morte. Inquieto l'uomo cominciò a perlustrare la
zona girando in cerchi sempre più ampi. Trovò impronte che non
erano le sue, orme di stivali che non gli appartenevano. Il bosco
sembrava violato da tutte quelle tracce. Seguì la pista che
risaliva appena sul pendio e inorridì per una seconda volta. Una
nuvola di mosconi ronzava attorno ai corpi di due cuccioli. La
femmina di lupo giaceva un paio di passi più in là. La schiena
curva come se dormisse, il collo riverso e piegato sulle zampe.
Veleno, pensò poggiando un ginocchio a terra, accarezzando il pelo
della femmina di lupo. Si asciugò la fronte imperlata di sudore con
il dorso della mano, poi prese la vanga e si mise a scavare una buca.
Scavò
con rabbia, e con rabbia ricompose i resti della famiglia di lupi
nella buca, piangendo lacrime di rancore verso il mondo mentre
ricopriva di terra la buca. Radunò con le mani le foglie di faggio e
tornò a ricomporre lo strato rossiccio in modo uniforme. Restò in
ginocchio con le mani posate sulle gambe, gli occhi socchiusi in
silenziosa preghiera.
Fu
allora che lo udì. Piccolo, sommesso, quasi un singhiozzo. Pensò
che fosse la sua immaginazione e stette ad ascoltare ancora in
silenzio. Lo sentì di nuovo e tese l'orecchio cercando di capire da
dove venisse.
Non
fu facile convincerlo a uscire dalla tana. Spaventato e affamato
l'unico superstite della cucciolata era rimasto all'interno della
tana scavata proprio sotto il tronco d'albero tagliato. L'ingresso
mimetizzato da rocce di granito biancastro e dalle foglie dei faggi.
Aveva il mantello nero. Gli occhi grigiastri e lucidi tipici dei
cuccioli, una zampa macchiata di bianco. Lo stesso ciuffo di peli
biancastro nell'incavo delle spalle, proprio come il padre. Lo prese
per la collottola e lo infilò sotto la camicia lasciandolo
giocherellare con un dito della mano. Poi si avviò per il sentiero
uscendo nella calda luce del tramonto, su un cielo spezzato da nuvole
violacee con le ombre della notte che già allungavano le loro dita
sul mondo.
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